Licenziamento: in caso di concorso del motivo lecito con quello illecito è esclusa la natura discriminatoria/ritorsiva
La Suprema Corte, con la recentissima pronuncia, n. 14197/2018, ha ribadito il proprio consolidato orientamento secondo cui, in caso di concorso tra motivo lecito idoneo a giustificare il recesso e motivo illecito, deve essere esclusa la natura ritorsiva e/o discriminatoria del licenziamento, in quanto il motivo illecito può assumere rilevanza solo se esclusivo e determinante la volontà del datore di lavoro di adottare l’atto risolutivo del rapporto.
Nella fattispecie sottoposta al vaglio dei Giudici di legittimità, una lavoratrice veniva licenziata, per giusta causa, per grave insubordinazione perpetrata ai danni dell’amministratore unico e consistente nell’essersi rivolta, nei suoi confronti, con toni violenti ed epiteti fortemente ingiuriosi.
Nell’impugnare il recesso dinanzi al Tribunale di Milano, la lavoratrice ne deduceva la natura ritorsiva, in ragione della sua qualità di socia e dei rapporti conflittuali intercorsi con l’amministratore unico, fratello della stessa ricorrente nonché socio dell’impresa, con il quale erano sorti da tempo motivi di disaccordo sulla gestione sociale, sfociati in un lodo arbitrale che aveva annullato una delibera assembleare ed accertato talune irregolarità commesse dal fratello.
Il Tribunale, sia nella fase a cognizione sommaria, sia in quella successiva di opposizione, rigettava il ricorso della dipendente alla luce dell’istruttoria svolta che aveva confermato la veridicità degli addebiti contestati. In particolare, secondo i Giudici di merito, la condotta gravemente insubordinata della dipendente, era tale da integrare una giusta causa di recesso e, dunque, di per sé, sufficiente ad escludere che il prospettato motivo illecito avesse avuto rilievo unico e determinante rispetto al licenziamento.
La Cassazione ha confermato la correttezza della valutazione dei Giudici di merito, in quanto conforme al proprio consolidato orientamento (cfr. Cass. 28 marzo 2011, n. 7046 e Cass. 7 luglio 2009, n. 16155).