Licenziamento ritorsivo: onere della prova a carico del lavoratore
La Suprema Corte, con la recente sentenza n. 20742/2018, ha ribadito che ricade sul lavoratore l’onere di provare la natura ritorsiva e/o discriminatoria del recesso.
Nel caso in esame, in particolare, un dirigente veniva licenziato per alcune mancanze. Nella fase sommaria il tribunale riteneva ingiustificato il licenziamento ma, in assenza di prova certa del motivo ritorsivo, condannava il datore di lavoro ad un risarcimento economico nei confronti del lavoratore. Nel giudizio di opposizione, invece, il Tribunale riteneva il provvedimento ritorsivo e condannare il datore di lavoro a reintegrare il dipendente. Decisione poi confermata dalla Corte d’appello.
La Corte di cassazione, però, accogliendo le censure sollevate dall’azienda, ribadisce che «l’onere di dimostrare l’intento discriminatorio, idoneo a configurare la nullità del recesso…è posto a carico del lavoratore». Mentre, rilevano i Giudici di legitimità, nella sentenza della Corte di Apello, «non è dato evincere alcun accertamento, né in merito all’effettiva causale del recesso, né in merito all’avvenuto raggiungimento in giudizio della prova della ritorsione – quale motivo unico e determinate – offerta dal dirigente licenziato».
La Suprema Corte, dunque, chiarisce, ancora una volta, che la sussistenza di un motivo illecito non risulta rilevante in caso di concorso con un motivo lecito, dovendo l’intento ritorsivo o discriminatorio essere unico e determinante.
Cass. 20742 el 2018 (licenziamento ritorsivo, motivo unico ed onere prova)