Jobs Act: costituzionalmente illegittimo l’indennizzo per i licenziamenti basato sulla sola anzianità
Il criterio della sola anzianità lavorativa previsto dall’art. 3, comma 1, D.lgs. n. 23/15 (Jobs Act), per quantificare gli indennizzi in caso di licenziamento ingiustificato è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo, dalla Consulta, con dispositivo pubblicato nella data di ieri.
La norma originaria del 2015 (articolo 3, comma 1, del Dlgs 23) prevedeva, in caso di licenziamento illegittimo, una indennità “pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a quattro e non superiore a ventiquattro mensilità“.
Il decreto dignità, in vigore dallo scorso 14 luglio, senza modificare il meccanismo di calcolo, ha aumentato, del 50%, gli importi degli indennizzi, portando a sei mensilità , il minimo, e a 36, il massimo.
Su questo quadro normativo – oggi vigente – si è innestata la decisione di ieri della Consulta, chiamata in causa dal tribunale di Roma. I giudici di legittimità hanno confermato la scelta del Legislatore del 2015, quella cioè di elidere la tutela reale (ferme le ipotesi di licenziamento discriminatorio, nullo od orale) in funzione dell’integrale monetizzazione della tutela prevista per il lavoratore (illegittimamente) licenziato. In sostanza, la tutela indennitaria è, al momento, rimasta intatta. Restano, allo stesso modo, in vigore gli importi degli indennizzi, da sei a 36 mensilità.
Ad essere oggetto di censura, perché ritenuto in contrasto con la Costituzione, è stato invece il criterio di determinazione degli indennizzi stessi tra il minimo ed il massimo previsti dal legislatore. Per i giudici di legittimità, infatti, la previsione di un’indennità crescente in funzione «della sola anzianità di servizio del lavoratore» è «contraria ai principi di ragionevolezza e uguaglianza, e contrasta, anche, con il diritto e la tutela del lavoro sanciti dagli articoli 4 e 35 della Carta fondamentale».
Occorre ora attendere le motivazioni della sentenza per conoscere l’effettiva portata della declaratoria di incostituzionalità parziale dell’art. 3, comma 1, D.lgs. n. 23/2015.
C’è, comunque, il fortissimo rischio di un ritorno alla totale discrezionalità dei Magistrati, con conseguente incertezza su esiti e costi dei licenziamenti, a danno di imprese e lavoratori.
Attualmente, in caso di licenziamento, alla luce della sentenza della Consulta, il Giudice potrebbe quantificare l’indennità da 6 a 36 mensilità, secondo criteri non fissati dal legislatore e, dunque, secondo il suo prudente apprezzamento, magari utilizzando per analogia quelli previsti dalla Legge Fornero e, prima ancora, dall’art. 8 L. 604/66, vale a dire: dimensioni aziendali, anzianità lavorativa e circostanze concrete.