Esecuzione consapevole di un ordine illecito: licenziato!
La Suprema Corte, con sentenza n. 23600/2018, ha statuito che una condotta illegittima, pur se posta in essere in esecuzione di un ordine proveniente da un superiore gerarchico, legittima il licenziamento per giusta causa per violazione dell’obbligo di diligenza e fedeltà, qualora il dipendente sia in grado di comprendere l’illegittimità di tale ordine.
In particolare, nella fattispecie sottoposta al vaglio della Suprema Corte, il dipendente, licenziato per giusta causa per avere contabilizzato alcuni lavori, in realtà non eseguiti dalla società, aveva addotto a giustificazione della propria condotta l’aver ricevuto un ordine in tal senso dal proprio superiore gerarchico, nell’ambito di una riunione a cui avevano partecipato altri colleghi.
In sede di merito, le corti territoriali avevano accolto il ricorso del lavoratore, rilevando come l’errata contabilizzazione di lavori non eseguiti fosse conseguita a un ordine impartito dal superiore, al fine di inserire alcuni metri di tubature lineari all’interno della cartografia aziendale e nel patrimonio della stessa, in quanto unica possibilità di aggiornamento tardivo di queste informazioni che non erano state registrate al tempo dell’effettiva esecuzione dei lavori di ristrutturazione.
Alla luce di queste circostanze, la Corte d’appello confermava la statuizione del primo giudice di illegittimità del licenziamento, sulla scorta dell’assenza di colpa o dolo in capo al lavoratore, che si era limitato a eseguire alcune direttive del superiore, senza qualsivoglia intento di danneggiare il datore di lavoro.
Investita della questione, la Corte di cassazione ha anzitutto ribadito l’inapplicabilità ai rapporti tra soggetti privati (compreso quello di lavoro) della scriminante di cui all’art. 51 c.p., rivolta a chi commette fatti illeciti nell’esecuzione di un ordine ricevuto dalla pubblica autorità. Di conseguenza, la corte, nell’accogliere il ricorso del datore di lavoro, ha rilevato i giudici di merito erroneamente avevano focalizzato la loro valutazione sul solo rapporto gerarchico tra chi aveva dato e ricevuto un ordine, senza indagare anche il grado di divergenza dello stesso ordine rispetto ai principi e ai vincoli dell’ordinamento e il fatto che lo stesso fosse o meno conosciuto e conoscibile dal dipendente.
Nel caso specifico, hanno osservato i giudici di legittimità, il lavoratore era evidentemente in grado di riconoscere autonomamente la natura illegittima della condotta richiestagli dal superiore e, pertanto, avrebbe potuto (e dovuto) opporre a tale richiesta un rifiuto, o quantomeno un ostacolo. A nulla in questo senso rileva il fatto che non vi fosse una procedura alternativa idonea a consentire l’aggiornamento tardivo della cartografia e del patrimonio aziendali in quanto, sottolinea la Corte, l’intervento umano può modificare il funzionamento delle tecnologie informatiche preposte a tali tipi di registrazioni. Ben avrebbe potuto il dipendente, dunque, suggerire un intervento sui dispositivi tecnologici aziendali piuttosto che ottemperare a un ordine avente natura illecita.
È confermato dunque il licenziamento per giusta causa comminato al lavoratore, sul quale infatti la società non può essere effettivamente in grado di riporre fiducia per il corretto adempimento delle proprie prestazioni, essendosi quest’ultimo «posto supinamente, ove anche non intenzionalmente, in condizioni di violare in modo ripetuto i doveri di diligenza e fedeltà», violando le procedure definite dal datore di lavoro allo scopo di dare seguito ad un ordine al quale, invece, avrebbe dovuto opporre un legittimo rifiuto.
Cass. 23600 del 2018 (ordine illecito superiore e giusta causa)