Il licenziamento entro l’anno dal matrimonio è discriminatorio solo per la donna
La Suprema Corte, con sentenza n. 28926/18, ha escluso una discriminazione legata al genere nelle tutele poste dall’articolo 35 del Codice pari opportunità tra uomo e donna (Dlgs 198/06), nella parte in cui prevede che la nullità del licenziamento «a causa matrimonio» – nel periodo decorrente dalla richiesta di pubblicazioni, seguita dalla sua celebrazione, fino ad un anno dopo la stessa – sia limitata alla sola lavoratrice donna.
In materia, invece, alcuni Tribunali di merito, tra cui il Tribunale di Milano (sentenza del 3 giugno 2014), ritenendo che la norma in esame fosse in contrasto con le norme anti-discriminatorie comunitarie, avevano dichiarato nullo il licenziamento per causa di matrimonio intimato a un lavoratore uomo nel periodo “protetto” sopra individuato.
I Giudici di legittimità dirimono, dunque, il contrasto sul punto sorto in seno ai Giudici di merito, affermando la legittimità della scelta legislativa limitare la nullità tipizzata dalla norma ai soli licenziamenti delle lavoratrici donne. Per giungere a tale conclusione, la Suprema Corte valorizza l’elemento storico della genesi dell’istituto, due pronunce della Corte costituzionale (in particolare, la sentenza n. 61 del 28 gennaio 1991) e una sentenza della Cedu (Konstantin Markin c. Russia [GC], n. 30078/06), osservando come la disposizione in esame, lungi dall’essere discriminatoria, sia assolutamente legittima, in quanto rispondente a una diversità di trattamento giustificata da ragioni, non di genere, ma di tutela della maternità, costituzionalmente garantita alla donna, in funzione della «speciale adeguata protezione» assicurata alla madre e al bambino dall’articolo 37, comma 1, della Costituzione.
Partendo da tale considerazione la Corte osserva che la protezione accordata dalla disposizione in esame non è in contrasto con la normativa antidiscriminatoria europea, né con l’articolo 33, comma 2, della Carta dei Diritti Fondamentali della Ue (secondo cui «al fine di poter conciliare vita familiare e professionale, ogni persona ha diritto di essere tutelata contro il licenziamento per un motivo legato alla maternità (…)».
In definitiva, secondo la Cassazione la normativa sulla nullità del licenziamento in costanza di matrimonio è volta tutelare non un genere rispetto ad un altro ma «la complessità del rapporto tra madre e figlio nel primissimo periodo di vita, con riguardo non solo ai bisogni più propriamente biologici, ma anche alle esigenze di carattere relazionale ed affettivo collegate allo sviluppo della personalità del bambino».
La pronuncia della Corte di Cassazione, tuttavia, sembra tralasciare due aspetti che avrebbero potuto condurre a conclusioni opposte, vale a dire:
- l’esistenza di una norma specifica (art. 54 D.lgs. 151/2001) volta a tutelare la lavoratrice madre contro il licenziamento nel periodo di gestazione e sino al compimento di un anno del bambino, giustamente operante solo nei confronti delle donne, per ragioni biologiche prima che giudichi e sociali;
- l’equiparazione, a seguito dell’entrata in vigore delle norme sulle unioni civili, di queste ultime al matrimonio, in tutte le norme del nostro ordinamento che fanno riferimento all’istituto in esame.
Cass. 28926 del 2018 (licenziamento uomo entro anno dal matrimonio)