Covid-19: non sussiste un diritto generalizzato dei dipendenti allo Smart Working
In questi giorni ha avuto molto clamore una ordinanza del Tribunale di Grosseto del 23 aprile 2020 (si allega link con testo), resa all’esito di un giudizio ex art. 700 c.p.c., in cui il Giudice ha condannata un’azienda a consentire al lavoratore di espletare la propria attività lavorativa in modalità smart working, prevedendo anche uno strumento di coercizione indiretta (c.d. astrainte) per ogni giorno di ritardo nell’adempimento (€. 50,00).
La lettura delle motivazioni dell’ordinanza permettono di comprendere la peculiarità della situazione su cui si è pronunciato il Tribunale e, dunque, l’impossibilità di generalizzare, anche se limitatamente al periodo emergenziale, un principio, quello secondo cui il lavoratore avrebbe diritto a scegliere le modalità con cui prestare attività lavorativa, contrario all’art. 41 Cost.
In particolare, nel caso in esame, gli elementi concreti e peculiari che rendono condivisibile la pronuncia del Tribunale sono l’invalidità superiore al 60% accertata patita dal lavoratore, la circostanza che tutti i suoi colleghi di reparto fossero stati collocati in smart working dal datore di lavoro e le motivazioni del rifiuto fornite in giudizio da quest’ultimo, manifestamente generiche ed inconsistenti (costi da sostenere per collocare in smart working il ricorrente al rientro da un periodo di malattia ed a fronte del collocamento dei suoi colleghi in lavoro agile già da una settimana) e, dunque, inidonee a giustificare la differenziazione di trattamento.
A fondamento del proprio convincimento, il Giudice ha valorizzato il disposto di cui all’art. 39 D.L. 18/2020, a mente del quale: “1.Fino alla data del 30 aprile 2020, i lavoratori dipendenti disabili nelle condizioni di cui all’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992,n.104 o che abbiano nel proprio nucleo familiare una persona con disabilità nelle condizioni di cui all’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, hanno diritto a svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile ai sensi dagli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81, a condizione che tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione. 2. Ai lavoratori del settore privato affetti da gravi e comprovate patologie con ridotta capacità lavorativa è riconosciuta la priorità nell’accoglimento delle istanze di svolgimento delle prestazioni lavorative in modalità agile ai sensi degli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81“.
Orbene, come emerge chiaramente dal contenuto della norma, mentre i lavoratori affetti da grave disabilità ai sensi della L. 104/92 hanno un vero e proprio diritto a svolgere la propria attività in regime di smart working (comma 1) e, dunque, il datore di lavoro è tenuto ad adattare la propria organizzazione per far fronte a questo diritto, nel caso di dipendenti con riduzione della capacità lavorativa ma non nelle condizioni di cui alla L. 104/92 non viene riconosciuto un diritto ad autodeterminare le modalità di espletamento dell’attività lavorativa ma solo una priorità (temporale) nell’accoglimento delle istanze avanzate in tal senso, ferma restando la libertà del datore di lavoro, tutelata dall’art. 41 Cost., di organizzare modalità di espletamento della prestazione lavorativa dei propri dipendenti.
In sostanza, quanto affermato dal Tribunale di Grosseto non rappresenta un principio generale riguardante tutti i lavoratori ed è condivisibile nella misura in cui si basa sulle seguenti valutazioni:
- il lavoratore era invalido al 60% e, dunque, rientrava nel campo di applicazione del comma 2 sopra riportato;
- i suoi colleghi dello stesso reparto erano stati collocati in smart working e, dunque, il datore di lavoro aveva ritenuto, con propria scelta discrezionale ed insindacabile, che la funzione a cui era detto il lavoratore potesse essere utilmente svolta da remoto;
- il lavoratore aveva un diritto di priorità rispetto ai suoi colleghi ad espletare attività in regime di smart working, ai sensi del comma 2 sopra riportato;
- a fronte del diritto di priorità vantato dal lavoratore, le motivazioni fornite dal datore di lavoro per rigettare l’istanza avanzata non potevano ritenersi idonee e sufficienti.
Così motivata, dunque, la pronuncia del Tribunale di Grosseto può ritenersi conforme al dato normativo ma non permette in alcun modo di affermare la sussistenza generalizzata del diritto di qualsiasi dipendente ad operare in regime di smart working, anche contro la volontà del proprio datore di lavoro.
Tribunale-Grosseto-sez.-lav.-23-aprile-2020-n.-502