Custodia cautelare e licenziamento per gmo
Trib. Vibo 284 del 2020 est. Nasso (custodia cautelare e gmo)
Il Tribunale di Vibo Valentia, est. Ilario Nasso, con sentenza n. 284/2020, ha ritenuto legittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo irrogato da una società espletante servizi di igiene urbana nei confronti di un lavoratore tratto in custodia cautelare.
In particolare, il datore di lavoro, avuta notizia della detenzione del dipendente, comunicava a quest’ultimo, avente mansioni di operatore ecologico, stante l’impossibilità a ricevere la sua prestazione, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, integrato dal venir meno dell’interesse alla prosecuzione del rapporto, non essendo preventivabile la durata dell’assenza e dovendo procedere alla sua immediata sostituzione per garantire la corretta esecuzione del contratto con il Comune committente.
Il lavoratore impugnava il licenziamento, contestando l’avventatezza della decisione espulsiva, stigmatizzando a) il mancato accoglimento della richiesta di collocazione in aspettativa senza assegni, e b) la radicalità della determinazione datoriale, sul presupposto della mancata dimostrazione della superfluità – per il futuro – della prestazione dell’ex dipendente. Il lavoratore si doleva – in secondo luogo – dell’assenza di correlazione tra fatto contestato ed effetto terminativo del rapporto di lavoro.
Il Giudice, tuttavia, in accoglimento delle difese della società ha rigettato il ricorso affermando:
che le uniche ipotesi in cui, a fronte di un licenziamento posto in stretta eziologia con la custodia cautelare, può essere ripristinato il rapporto, disciplinate espressamente della legge (art. 102 bis disp. att. c.p.p.) sono quelle in cui «venga pronunciata […] sentenza di assoluzione, di proscioglimento o di non luogo a procedere ovvero venga disposto provvedimento di archiviazione»;
che il licenziamento “a differenza di quanto ventilato dall’esponente nel proprio atto introduttivo – non risulta il precipitato di un’autonoma valutazione datoriale della gravità delle condotte criminose attribuite al lavoratore (al momento senz’altro presunto incolpevole) ovvero della loro incidenza sulla prosecuzione del rapporto, ma costituisce la conseguenza del dato obiettivo dell’impossibilità – per la società di servizi ambientali – d’avvalersi, per un orizzonte temporale non preventivabile, della prestazione del lavoratore“.
La sentenza risulta essere interessante anche da un punto di vista processuale, avendo il Giudice unificato le due fasi in cui si articola il primo grado del Rito Fornero, sul presupposto secondo cui: “Siffatta alterità nella scansione del rito non appare ineluttabile, né giovevole, in tutti quei casi (incluso quello che qui occupa) in cui a) le difese svolte dalle parti non potrebbero condurre a un risultato differente, rispetto a quello emergente all’esito della fase c.d. sommaria; b) l’opposizione ipoteticamente introdotta non avrebbe modo di arricchire il compendio conoscitivo acquisito – in virtù delle allegazioni delle parti – dall’organo giudicante, e c) risulti garantita fin dall’inizio la pienezza del contraddittorio, l’osservanza del diritto di difesa e l’esplicazione delle facoltà processuali riconosciute dalla legge alle parti“.