Legittimo il recesso dai contratti collettivi, fatti salvi solo i diritti quesiti
Con sentenza n. 14216/2023, la Suprema Corte ha ribadito il proprio principio secondo cui le clausole di un contratto collettivo, a qualsiasi livello, non possono rappresentare un vincolo perpetuo per le parti contraenti, in quanto la disciplina contrattuale si colloca all’interno di uno spazio temporale definitivo, al fine di consentire l’adeguamento delle pattuizioni alle continue evoluzioni della realtà socio economica.
Anche alla contrattazione collettiva deve, dunque, applicarsi la regola, valida per tutti i negozi giuridici privati, che assegna al recesso unilaterale la veste di causa idonea a estinguere in maniera ordinaria qualsiasi rapporto di durata a tempo indeterminato, così da evitare la perpetuità del vincolo obbligatorio, pur sempre nel rispetto dei criteri di buona fede e correttezza che devono ispirare l’esecuzione di ogni contratto.
Di conseguenza, i diritti dei lavoratori che derivano da una disciplina pregressa più favorevole, nel caso in cui il contratto sia oggetto di recesso, sono intangibili esclusivamente laddove rappresentino il corrispettivo di una prestazione già resa o correlata a una fase del rapporto di lavoro che sia già esaurita, ovverosia quando possono dirsi entrati effettivamente nel patrimonio di chi li rivendica. Non sono intangibili, invece, le mere aspettative che il lavoratore può avere in ragione della regolamentazione precedente e più favorevole.
Cass. 14216 del 2023 (disdetta CIA e diritti quesiti)