Tentativo di conciliazione e decadenza dall’impugnativa di licenziamento
La Suprema Corte, con sentenza n. 14108/2018, ha precisato che qualora il lavoratore, dopo aver impugnato stragiudizialmente il licenziamento, promuova il tentativo di conciliazione e questo, espressamente accettato dal datore di lavoro, si concluda con esito negativo, dal momento della conclusione del procedimento riprende a decorrere l’originario termine di decadenza di 180 giorni per depositare il ricorso giudiziale.
In questa ipotesi, secondo i Giudici di legittimità, non può trovare applicazione l’art. 6, comma 2, L. 604/66 nella parte in cui dispone che «qualora la conciliazione o l’arbitrato richiesti siano rifiutati o non sia raggiunto l’accordo necessario al relativo espletamento, il ricorso al giudice deve essere depositato a pena di decadenza entro sessanta giorni dal rifiuto o dal mancato accordo».
Ed invero, precisa la Suprema Corte, le norme in materia di decadenza devono essere interpretate restrittivamente e, di conseguenza, il termine “breve” di decadenza può operare solo qualora la conciliazione sia rifiutata dal datore di lavoro (esplicitamente o implicitamente attraverso il mancato deposito delle memorie nel termine di 20 giorni) ovvero qualora non venga raggiunto l’accordo in merito all’espletamento dell’arbitrato e non anche qualora qla procedura sia accettata ma non abbia un esito positivo.
In questa ultima ipotesi, invece, trova applicazione, a dire della Corte, l‘articolo 410, comma 2, del Codice di procedura civile che prevede la sospensione del decorso del termine di decadenza per tutta la durata del tentativo di conciliazione e per i 20 giorni successivi, con la conseguenza che, al termine di questi 20 giorni, riprenderà a decorrere il termine originario di 180 giorni sospeso per effetto della proposizione del tentativo di conciliazione.
Cass. 14108 del 2018 (tentativo conciliazione e decadenza)