Licenziamento ritorsivo: il lavoratore deve provare l’unicità e la determinanza del motivo illecito
La Suprema Corte, con la sentenza n. 29764/2018, ha confermato il proprio orientamento in materia di licenziamento ritorsivo, ribadendo che l’atto di recesso può essere dichiarato nullo solo qualora il motivo illecito sia unico ed abbia, da solo, determinato la volontà del datore di risolvere il rapporto.
I Giudici di legittimità hanno, inoltre, chiarito che la prova della unicità e determinanza del motivo illecito rispetto alla formazione della volontà posta a fondamento del licenziamento ricade, ex art. 2697 c.c., sul lavoratore, in quanto attore.
Secondo la Corte di Cassazione, dunque, la mera insussistenza del giustificato motivo oggettivo o della giusta causa, non rendono automaticamente il recesso nullo per motivi ritorsivi per il sol fatto della deduzione, da parte del lavoratore, della natura illecita del recesso, dovendo, al contrario, essere fornita, in giudizio, la relativa prova, anche per presunzioni.
Nel caso sottoposto al suo vaglio, la Suprema Corte, in particolare, ha escluso la natura ritorsiva di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato ad una lavoratrice a breve distanza temporale dalla formalizzazione di una richiesta di tutelare alcuni propri diritti in sede giudiziale, proprio in ragione dell’insussistenza, in giudizio, di prove volte a dimostrare la natura unica e determinante del motivo ritorsivo.
Cass. 29764 del 2018 (gmo e motivo ritorsivo unico e determinante)