Le risoluzioni consensuali si computano ai fini del licenziamento collettivo
La risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, quando intervenuta a seguito di mancata accettazione del trasferimento da parte del dipendente, va inclusa nel computo del numero minimo dei cinque licenziamenti, in presenza dei quali, ai sensi dell’articolo 4 della legge 223/1991, deve essere attivata la procedura collettiva di informazione e consultazione sindacale.
In particolare, la Corte di cassazione, con ordinanza 15401/2020, ha affermato il principio sopra riportato, che costituisce superamento di un indirizzo contrario consolidato. La Suprema corte si aggiorna e afferma, riprendendo le conclusioni offerte dalla giurisprudenza comunitaria (Corte di giustizia Ue 11/11/2015 nella causa C-422/14), che, nella nozione di licenziamento ai fini dell’applicazione della procedura di cui alla L. 223/91, non rientra solo la fattispecie del recesso datoriale tecnicamente inteso, ma, al contrario, la stessa va estesa a quelle ipotesi in cui la risoluzione, pur non derivando formalmente da un atto di licenziamento, è riconducibile a una riorganizzazione aziendale da cui sia derivata una modifica sostanziale delle condizioni del rapporto di lavoro.
Visto il cambiamento di orientamento, per le situazioni giuridiche già esauritesi alla data di pubblicazione dell’ordinanza, sarebbe opportuna l’applicazione del principio del c.d. prospective overruling, così da scongiurare la retroattività del principio elaborato.
Cass. 15401 del 2020 (risoluzione consensuale e computo ai fini licenziamento collettivo)