Circolazione aziende in crisi e sgravi contributivi
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8972/2018, ha ribadito il principio secondo cui i benefici contributivi per l’assunzione di personale in mobilità (legge 223/1991), non spettano allorquando le nuove assunzioni siano effettuate nell’ambito della procedura di cui all’47, comma 5, L. 428/1990, norma che esclude l’applicazione dell’articolo 2112 c.c. quando il trasferimento riguardi imprese in stato di crisi od oggetto di dichiarazione di fallimento, omologazione di concordato, amministrazione controllata o liquidazione giudiziale, con continuazione di attività.
In particolare, secondo i Giudici di legittimità gli accordi in deroga all’art. 2112 c.c. hanno efficacia solo ed esclusivamente tra datore di lavoro e dipendente, senza possibilità di estenderne gli effetti anche ai rapporti con gli enti previdenziali terzi.
Questo principio è estensibile a tutti gli sgravi contributivi connessi ad una nuova assunzione.
In ogni caso, secondo la Cassazione, i benefici per l’assunzione di personale dalla mobilità non possono spettare al datore di lavoro tenuto a un obbligo di riassunzione nei confronti dei lavoratori già licenziati che lavoravano presso la stessa azienda: non rileva peraltro che la cessione sia avvenuta nell’ambito di una procedura fallimentare, in quanto il fallimento della società non determina il venir meno del bene giuridico “azienda” (conf. Cassazione 10428/2017).
http://www.quotidianolavoro.ilsole24ore.com/art/contenzioso-e-giurisprudenza/2018-04-17/sgravi-contributivi-ed-effettivo-incremento-occupazionale-130341.php?uuid=AEqqPvZE
Leggi di più...Licenziamento collettivo: requisiti della comunicazione di avvio della procedura e modalità di applicazione dei criteri di scelta
La Suprema Corte, con la sentenza n. 6993/2018, ha chiarito che la completezza della comunicazione preventiva di cui all’art. 4, comma 3, della L. n. 223/1991, deve essere valutata in relazione ai motivi della riduzione del personale, che restano sottratti al controllo giurisdizionale, sicché, in relazione ad essi, l’imprenditore può limitarsi all’indicazione del numero complessivo dei lavoratori eccedenti, suddiviso tra i diversi profili professionali previsti dalla classificazione del personale occupato nell’azienda, senza che occorra l’indicazione degli uffici o reparti in eccedenza.
I Giudici di legittimità, inoltre, hanno affermato che la regola del concorso dei criteri di scelta, operante, secondo quanto previsto dall’art. 5, L. n. 223/1991, ove gli stessi non siano predeterminati da accordi collettivi, se impone al datore di lavoro una valutazione globale dei medesimi, non esclude, tuttavia, che, all’esito della comparazione, possa accordarsi prevalenza ad uno di essi ed, in particolare, alle esigenze tecnico – produttive, essendo quest’ultimo il criterio più coerente con le finalità perseguite attraverso la riduzione del personale (sempre che naturalmente una scelta siffatta trovi giustificazione in fattori obiettivi, la cui esistenza sia provata in concreto dal datore di lavoro e non sottenda intenti elusivi o ragioni discriminatorie).
Sempre con riferimento ai criteri di scelta, la Corte di Cassazione ha evidenziato che non sussiste un indifferenziato interesse del singolo lavoratore alla legalità dell’azione del datore di lavoro nell’espletamento della procedura di licenziamento collettivo, ma il licenziato deve innanzi tutto specificamente dedurre che l’errore o l’omissione denunciata, quale violazione nell’applicazione del criterio di scelta, abbia influito in modo determinante nella sua selezione, nel senso che senza quell’errore o quell’omissione la scelta non sarebbe ricaduta su di lui.
Cass. 6993 del 2018 (requisiti comunicazione avvio ed applicazione criteri scelta)
Leggi di più...Licenziamento legittimo per rifiuto ingiustificato di espletare le proprie mansioni
Con la sentenza n. 6789/2018 la Suprema Corte ha confermato la sentenza della Corte di Appello di Perugia, in cui era stato ritenuto legittimo il licenziamento di un dipendente per l’ingiustificato rifiuto di espletare attività rientranti nelle sue mansioni.
Nel caso in esame la società aveva contestato al lavoratore di essersi rifiutato di prestare attività lavorativa su un macchinario senza giustificato motivo all’inizio di un turno e di non essersi poi recato dal direttore di stabilimento, benché convocato, per rendere spiegazioni. La corte territoriale riteneva legittimo il licenziamento anche considerato che dalle prove testimoniali era emerso che il lavoratore si fosse rifiutato adducendo che tale macchina non era adatta a lui, circostanza non vera, trattandosi di macchina in cui si lavoravano pezzi di peso non superiore ai 2 kg, a fronte del limite di 5 kg a lui consentito.
Cass. 6789 del 2018 (licenziamento per rifuto espletamento mansioni)
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Cass. 4358/2018: nulli i contratti di lavoro (anche a termine) delle società partecipate senza previo concorso
Con la sentenza 4358/2018 la Corte di Cassazione ha chiarito che i contratti di lavoro instaurati da società a partecipazione pubblica totale o di controllo sono nulli ab origine, allorquando non siano preceduti da procedure ad evidenza pubblica per l’individuazione del personale da assumere.
Ciò in quanto alle suddette società, anche prima dell’entrata in vigore del D.lgs. n. 175/2016, trovava applicazione l’art. 18 del D.L. 112/2008, che imponeva il reclutamento di personale a mezzo procedure concorsuali improntate ai principi di trasparenza, pubblicità e imparzialità.
I contratti di lavoro instaurati in violazione della suddetta norma sono, dunque, nulli e la prestazione di lavoro resa deve essere considerata prestazione di fatto resa in violazione di legge, ai sensi dell’art. 2126 c.c.
http://www.quotidianolavoro.ilsole24ore.com/art/contenzioso-e-giurisprudenza/2018-04-04/nulli-contratti-lavoro-societa-pubbliche-anche-prima-entrata-vigore-tu-2016-senza-procedure-concorsuali–173148.php?uuid=AEJSgqSE
Leggi di più...Cass. 6402/2018: attacchi verbali e tentata aggressione fisica nei confronti di un superiore, licenziamento legittimo
Con l’ordinanza in esame la Corte di Cassazione ha confermato la sentenza della Corte di Appello di Napoli, che aveva ritenuto legittimo il licenziamento di un dipendente che aveva, dapprima, attaccato verbalmente e, poi, tentato anche di aggredire fisicamente un proprio superiore gerarchico.
Secondo i Giudici di legittimità, in particolare, il licenziamento deve ritenersi misura sanzionatoria proporzionata alla luce della oggettiva gravità dei fatti contestati, nonché dei precedenti disciplinari in cui era incorso il lavoratore, indipendentemente dal fatto che “il tentativo di aggressione” fosse previsto o meno dal CCNL di settore (Multiservizi Industria) tra le esemplificazioni della giusta causa.
La Corte ribadisce, infine, che, violando la condotta contestata il c.d. minimum etico, la previa affissione del codice disciplinare risultava circostanza superflua ai fini della valutazione della legittimità del recesso.
Leggi di più...Legittimo il controllo dei dipendenti con l’investigatore privato
Con la sentenza n. 8373/2018, i Giudici di legittimità hanno ribadito la legittimità del controllo del datore di lavoro dei propri dipendenti a mezzo di investigatore privato, allorquando vi sia anche solo il sospetto di compimento di condotte illecite. L’unico controllo non ammesso è quello volto a verificare il mero adempimento della prestazione lavorativa.
In sostanza, risultano legittimi anche i controlli volti a verificare la commissione di atti illeciti, da parte dei dipendenti, durante l’espletamento della prestazione (es. sottrazione beni aziendali), purché vi sia il fondato sospetto del loro compimento.
http://www.quotidianolavoro.ilsole24ore.com/art/contenzioso-e-giurisprudenza/2018-04-04/l-investigatore-privato-puo-controllare-dipendente-ma-non-il-lavoro-210649.php?uuid=AEJ6CzSE
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Dipendenti Pubblici: Indennità per P.O. anche senza incarico
La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8141/2018, ha statuito che il dipendente pubblico che espleti attività riconducibile ad un superiore inquadramento, ricoprendo, di fatto, una posizione organizzativa formalmente istituita nell’ambito dell’organizzazione della PA, ha diritto, ai sensi dell’art. 36 Cost., sia alla retribuzione corrispondente al livello superiore sia al relativo trattamento accessorio, compresa, appunto, l’indennità per P.O.
Leggi di più...Legittimo il licenziamento del dipendente malato che espleti altra attività (anche non lavorativa)
La Cassazione, con sentenza n. 6047 del 13 marzo 2018, è ritornata su un argomento sensibile nell’attuale scenario giuslavoristico, vale a dire il licenziamento del dipendente che, durante l’assenza per malattia, espleti altra attività.
In particolare, la Suprema Corte, nella pronuncia in esame, in accoglimento del ricorso del datore di lavoro, ha ribadito i seguenti principi:
- gli obblighi di correttezza e buona fede gravanti su un dipendente assente per malattia impongono allo stesso di non compiere attività che possano pregiudicare o ritardare la guarigione;
- il pregiudizio ed il ritardo nella guarigione possono anche essere solo potenziali e, dunque, il giudizio circa l’idoneità della condotta a pregiudicare o ritardare la guarigione deve essere effettuato ex ante e non ex post, restando, dunque, irrilevante che, di fatto, alla scadenza della malattia il lavoratore sia rientrato al lavoro;
- la valutazione della illegittimità della condotta deve essere effettuata in concreto tenuto conto di tutti gli elementi di fatto rilevanti nella fattispecie ed idonei a dimostrare una condotta negligente ed incauta del dipendente malato (p.e. durata dell’attività espletata, condizioni meterologiche, eventuale necessità di spostamento, etc.).
La sentenza in esame si inserisce nell’ambito di un processo giurisprudenziale volto ad una più rigorosa applicazione dei canoni contrattuali al comportamento complessivamente tenuto dal lavoratore assente per malattia.
Resta, tuttavia, un problema di fondo difficilmente risolvibile: la valutazione circa l’idoneità della condotta a pregiudicare o ritardare la guarigione, ai fini della rilevanza disciplinare della stessa, richiede necessariamente che il datore di lavoro sia a conoscenza della patologia del lavoratore (potendo determinate attività essere compatibili ed anzi terapeutiche rispetto ad una patologia ed, invece, nocive rispetto ad un’altra) , conoscenza preclusa dalle norma sulla privacy.
Leggi di più...Collaborazioni occasionali: Lavoro autonomo e PrestO
L’introduzione della nuova disciplina dei voucher (art. 54bis del D.L. 24 Aprile 2017 n. 50 convertito in legge 96 del 21/6/2017) e la denominazione utilizzata di “prestazioni di lavoro occasionale” (PrestO) hanno generato confusione tra questa fattispecie e quella del lavoro autonomo occasionale di cui all’art. 2222 c.c., con ritenuta alla fonte del 20%, sino ad un compenso massimo lordo di €. 5.000 annui (per compensi superiori è obbligatoria l’iscrizione alla Gestione Separata Inps)
Mentre i PrestO sono forme di apporto lavorativo occasionale tipizzate che richiedono la presenza di stringenti requisiti sia per l’utilizzatore che per il lavoratore, il lavoro autonomo occasionale, invece, è disciplinato dall’art. 2222 c.c. e si configura quando una persona si obbliga a compiere nei confronti del committente dietro un corrispettivo, un’opera o un servizio con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione (in sostanza, quando non sussistono gli indici tipici del lavoro subordinato individuati dalla giurisprudenza).
Leggi di più...L’appalto di ore di lavoro integra una somministrazione illecita
Il Consiglio di Stato, con sentenza n. 1571/2018, su ricorso di una agenzia di somministrazione, ha dichiarato illegittimo un bando di gara di una PA, avente ad oggetto, sostanzialmente, la messa a disposizione, da parte dell’appaltatore, di un numero di ore di lavoro annue, rese da addetti coordinati da personale della committente, per integrare la forza lavoro di quest’ultima, in modo da garantire il regolare svolgimento delle proprie attività.
Il massimo organo della giustizia amministrativa, all’uopo, ha valorizzato gli indici rivelatori della sussistenza di una somministrazione illecita, individuati dalla Corte di Cassazione, vale a dire: la richiesta di un certo numero di ore di lavoro; l’inserimento stabile del personale nel ciclo produttivo del committente; l’identità dell’attività svolta dal personale dell’appaltatore e dai dipendenti del committente; la proprietà del committente delle attrezzature necessarie per l’attività e l’organizzazione da parte del committente dei dipendenti dell’appaltatore.
La fattispecie esaminata dal Consiglio di Stato risulta essere di grande rilevanza ed interesse, stante lo sviluppo, sempre maggiore, di appalti endoaziendali dematerializzati, in cui, ai fini della legittimità dell’operazione, acquista valore dirimente la capacità dell’appaltatore di organizzare autonomamente, tramite un proprio coordinatore/referente, e senza alcuna ingerenza del committente, le prestazioni di lavoro dei dipendenti addetti all’esecuzione del servizio.
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