Custodia cautelare e licenziamento per gmo
Trib. Vibo 284 del 2020 est. Nasso (custodia cautelare e gmo)
Il Tribunale di Vibo Valentia, est. Ilario Nasso, con sentenza n. 284/2020, ha ritenuto legittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo irrogato da una società espletante servizi di igiene urbana nei confronti di un lavoratore tratto in custodia cautelare.
In particolare, il datore di lavoro, avuta notizia della detenzione del dipendente, comunicava a quest’ultimo, avente mansioni di operatore ecologico, stante l’impossibilità a ricevere la sua prestazione, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, integrato dal venir meno dell’interesse alla prosecuzione del rapporto, non essendo preventivabile la durata dell’assenza e dovendo procedere alla sua immediata sostituzione per garantire la corretta esecuzione del contratto con il Comune committente.
Il lavoratore impugnava il licenziamento, contestando l’avventatezza della decisione espulsiva, stigmatizzando a) il mancato accoglimento della richiesta di collocazione in aspettativa senza assegni, e b) la radicalità della determinazione datoriale, sul presupposto della mancata dimostrazione della superfluità – per il futuro – della prestazione dell’ex dipendente. Il lavoratore si doleva – in secondo luogo – dell’assenza di correlazione tra fatto contestato ed effetto terminativo del rapporto di lavoro.
Il Giudice, tuttavia, in accoglimento delle difese della società ha rigettato il ricorso affermando:
che le uniche ipotesi in cui, a fronte di un licenziamento posto in stretta eziologia con la custodia cautelare, può essere ripristinato il rapporto, disciplinate espressamente della legge (art. 102 bis disp. att. c.p.p.) sono quelle in cui «venga pronunciata […] sentenza di assoluzione, di proscioglimento o di non luogo a procedere ovvero venga disposto provvedimento di archiviazione»;
che il licenziamento “a differenza di quanto ventilato dall’esponente nel proprio atto introduttivo – non risulta il precipitato di un’autonoma valutazione datoriale della gravità delle condotte criminose attribuite al lavoratore (al momento senz’altro presunto incolpevole) ovvero della loro incidenza sulla prosecuzione del rapporto, ma costituisce la conseguenza del dato obiettivo dell’impossibilità – per la società di servizi ambientali – d’avvalersi, per un orizzonte temporale non preventivabile, della prestazione del lavoratore“.
La sentenza risulta essere interessante anche da un punto di vista processuale, avendo il Giudice unificato le due fasi in cui si articola il primo grado del Rito Fornero, sul presupposto secondo cui: “Siffatta alterità nella scansione del rito non appare ineluttabile, né giovevole, in tutti quei casi (incluso quello che qui occupa) in cui a) le difese svolte dalle parti non potrebbero condurre a un risultato differente, rispetto a quello emergente all’esito della fase c.d. sommaria; b) l’opposizione ipoteticamente introdotta non avrebbe modo di arricchire il compendio conoscitivo acquisito – in virtù delle allegazioni delle parti – dall’organo giudicante, e c) risulti garantita fin dall’inizio la pienezza del contraddittorio, l’osservanza del diritto di difesa e l’esplicazione delle facoltà processuali riconosciute dalla legge alle parti“.
Leggi di più...Insubordinazione ad ampio raggio ai fine della configurazione della giusta causa
La Corte di Cassazione, con sentenza del 1° luglio 2020, n. 13411 , statuisce che è “insubordinazione” non solo il rifiuto di adempimento delle disposizioni dei superiori gerarchici, ma anche qualsiasi comportamento atto a pregiudicare l’esecuzione ed il corretto svolgimento delle disposizioni ricevute dal dipendente nel quadro complessivo dell’organizzazione aziendale di riferimento.
Il caso è quello del licenziamento disciplinare comminato ad un lavoratore a cui erano state contestate condotte di insubordinazione e minaccia ai danni di una collega. L’ex dipendente, nel corso di una discussione insorta per la restituzione di una chiavetta del distributore del caffè, a porte chiuse, aveva tenuto comportamenti verbalmente minacciosi nei confronti della collega, una responsabile.
Nell’istruttoria di primo grado, era emerso che il lavoratore – peraltro recidivo – nel profferire tali minacce, aveva tenuto bloccata la porta dell’ufficio della responsabile, puntando il dito contro la collega.
Ribaltando la sentenza di primo grado, i giudici della Corte d’Appello di Trento, avevano respinto l’impugnativa di licenziamento, ritenendo sussistente la giusta causa di licenziamento integrata dalla grave insubordinazione del lavoratore, arricchita dalla concreta minaccia verbale proferita verso la collega.
La Cassazione, ripercorrendo i passaggi essenziali della pronuncia di gravame, conferma l’impostazione dei giudizi di merito, ritenendo necessario fornire alcune delucidazioni sul concetto di “insubordinazione”. Il concetto, secondo i giudici di legittimità, va interpretato “anche alla stregua dell’accezione lessicale e del significato del termine nel linguaggio corrente”, sicché non può essere limitato al rifiuto di adempimento di disposizioni impartite dai superiori gerarchici in senso proprio, ma deve estendersi a “qualsiasi comportamento atto a pregiudicare l’esecuzione ed il corretto svolgimento di dette disposizioni nel quadro dell’organizzazione aziendale”.
Cass. 13411 del 2020 (minacce verbali e giusta csusa licenziamento insubordinazione)
Leggi di più...Tribunale Mantova 26.6.2020: insussistenza di un diritto incondizionato allo Smart Working ai sensi dell’art. 90 D.L. Rilancio
TRIB. MN – DECRE. N. 1054.20 – RG 294.20) POS PAVONI
Il Tribunale di Mantova, Sezione lavoro, all’esito di un ricorso ex art. 700 c.p.c. con cui il ricorrente ha chiesta che fosse ordinato alla Società resistente, con effetto immediato e sino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica da Covid-19, di consentire lo svolgimento delle mansioni contrattuali in modalità di Lavoro Agile.
In alternativa, che il giudice stabilisse la corresponsione di un importo di euro 200,00 al giorno, o nella diversa misura ritenuta di giustizia, in capo all’Azienda per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione del provvedimento.
Alla base delle proprie ragione, il ricorrente ha eccepito che:
– l’art. 90 del d.l. 34/2020 (cd. decreto rilancio) gli conferisca un diritto soggettivo all’esecuzione della propria prestazione lavorativa in modalità agile, in quanto il suo nucleo famigliare è composto, oltre che dallo stesso, dalla moglie (dipendente di una amministrazione pubblica) e dalla figlia di anni 12;
– il mancato riconoscimento del lavoro Agile lo esponga ad un “grave rischio per la propria salute” ed impedisca l’accudimento della figlia minore poiché la moglie lavora.
A tal proposito, il citato art. 90, dispone che “fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica da COVID-19, i genitori lavoratori dipendenti del settore privato che hanno almeno un figlio minore di anni 14, a condizione che nel nucleo familiare non vi sia altro genitore beneficiario di strumenti di sostegno al reddito in caso di sospensione o cessazione dell’attivita’ lavorativa o che non vi sia genitore non lavoratore, hanno diritto a svolgere la prestazione di lavoro in modalita’ agile anche in assenza degli accordi individuali, fermo restando il
rispetto degli obblighi informativi previsti dagli articoli da 18 a
23 della legge 22 maggio 2017, n. 81, e a condizione che tale
modalita’ sia compatibile con le caratteristiche della prestazione”.
Il ricorso è stato rigettato, per la piena insussistenza dei presupposti indefettibili sia del periculum in mora che del fumus boni iuris, con condanna del ricorrente al pagamento delle relative spese di lite.
Nella specie, è stato accerto che le mansioni dell’ingegnere ricorrente fossero riferibili alla gestione in generale dei parcheggi, dalla fase iniziale della loro progettazione fino alla relativa gestione operativa nonché compiere visite presso presso gli stessi per incontrare i referenti tecnici dei committenti per la verifica dello stato manutentivo o eventuali.
Inoltre, il ricorrente, al di là di tutta una serie di attività ulteriori, straordinarie e non prevedibili in quanto connesse a possibili emergenze, ricopre il ruolo di Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza, compiendo verifiche sulla sicurezza nei parcheggi della gestione della salute e sicurezza aziendale finanche.
Ebbene, secondo il giudice, si tratta di mansioni diversificate che “risultano caratterizzarsi – quanto meno in misura rilevante se non prevalente – per la necessità della presenza fisica del dipendente”.
Di talché nel caso di specie non sussiste il requisito della compatibilità tra le mansioni svolte e la modalità agile e, di conseguenza, manca il fumus del diritto invocato in giudizio.
Non da ultimo, è emerso che la moglie del ricorrente svolge con regolarità la propria prestazione lavorativa in smart working presso il proprio domicilio di residenza, in cui vive con la figlia ed il marito.
Circostanza che rileva quanto meno ai fini della valutazione del periculum in mora che si richiede come autonomo presupposto per la concessione del richiesto rimedio cautelare: la figlia minorenne può essere accudita dalla madre anche in assenza del padre lavoratore.
Secondo il Tribunale di merito, infatti, il periculum in mora non può ritenersi sussistente in re ipsa ma debba fondarsi su elementi concreti che incombe alla parte ricorrente allegare e provare.
Ne discende la necessità di allegazioni puntuali che consentano alle parti processuali ed al giudice di operare una verifica finalizzata alla tutela di un pregiudizio concretamente e non teoricamente irrimediabile.
Tale onere di allegazione non è stato ottemperato da parte del ricorrente.
Analogo ordine di considerazioni valgono circa il pericolo di pregiudizio “per la propria salute” che viene solo genericamente affermato dal ricorrente (a tal proposito la Società resistente aveva dato prova dell’adozione di protocolli di sicurezza anti Covid-19, dell’istituzione di un Comitato aziendale specifico per tale rischio –a cui tra l’altro il ricorrente partecipa in qualità di RLS-, della integrazione del proprio DVR oltre che della circostanza fattuale dell’assenza di forme di agitazione sindacale o scioperi legati alla salute e sicurezza sul lavoro).
Per le ragioni esposte si è ritenuto di dover respingere il ricorso.
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Sottrazione di due pennelli: legittimo il licenziamento
La Suprema Corte, con sentenza n. 11005/2020, ha confermato la pronuncia dei giudici di merito che avevano ritenuto legittimo e proporzionato il licenziamento per giusta causa di un dipendente di una azienda della grande distribuzione, per aver sottratto due pennelli.
In particolare, i Giudici di legittimità, in ossequio al principio ormai consolidato, secondo cui il modico valore dei beni sottratti non rileva ai fini della valutazione della sussistenza della giusta causa di recesso, dovendo essere valutata solo la idoneità della condotta in sé ad incidere sul vincolo fiduciario sotteso ad un rapporto di lavoro, hanno ritenuto proporzionato il licenziamento comminato.
La Corte, inoltre, ha ritenuto provata la sottrazione sulla scorta del rinvenimento dei due pennelli nello zaino del lavoratore, da parte dell’istituto di vigilanza deputato all’effettuazione dei controlli a campione, non avendo il lavoratore fornito una giustificazione plausibile a tale fatto.
Cass. 11005 del 2020 (sottrazione beni modico valore e licenziamento giusta causa)
Leggi di più...Rifiuto cambio turno: legittimo licenziamento disciplinare
Con la sentenza n. 2515/2020, la Suprema Corte ha confermato la pronuncia con cui i Giudici del merito avevano ritenuto legittimo il licenziamento di un lavoratore per un irriguardoso ed immotivato rifiuto di un cambio turno, qualificando la sua condotta come grave insubordinazione.
In particolare, un operaio aveva proposto ricorso avverso il licenziamento disciplinare intimatogli dalla società datrice di lavoro per «grave insubordinazione», in seguito al rifiuto volontario espresso dal dipendente in merito al cambio del turno di lavoro comunicatogli dalla datrice.
Sia in primo grado che in sede di appello, le doglianze del lavoratore venivano respinte, avendo i giudici di merito riconosciuto la sussistenza della giusta causa di licenziamento nel comportamento contestato al lavoratore, integrato dal rifiuto volontario ed ingiustificato di sottoporsi alle direttive aziendali e manifestato con modalità del tutto irrispettosa del datore di lavoro stesso.
La Suprema Corte, dopo aver sottolineato che “…l’accertamento della gravità delle infrazioni poste a base di un licenziamento (e quindi pure della «gravità» dell’insubordinazione), in quanto necessariamente mediata dalla valutazione delle risultanze di causa, si risolve in un giudizio di fatto, riservato al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimità in termini di violazione di legge se non con la specifica denuncia di un contrasto tra il giudizio in tal senso espresso dal giudice di merito (di gravità, appunto) ed i principi dell’ordinamento quali delineati dalla giurisdizione di legittimità o gli «standard» valutativi esistenti nella realtà sociale che concorrono, con i principi medesimi, a comporre il diritto vivente…” ha respinto il ricorso del lavoratore.
La Cassazione, infatti, ha evidenziato come, nel caso in esame, i Giudici di merito avessero correttamente accertato la sussistenza dell’infrazione contestata dalla datrice di lavoro e riconducibile, anche per espressa previsione collettiva, al genus della giusta causa di recesso ed, in particolare, alla species della grave insubordinazione, avendo il lavoratore, volontariamente e senza alcuna giustificazione, rifiutato, in modo irrispettoso, le direttive aziendali (che peraltro avrebbero determinato solo una variazione della squadra di lavoro e del relativo capogruppo e non anche dell’orario di lavoro) così, di fatto, determinando una chiara ipotesi di inammissibile contestazione dei poteri datoriali.
Protocollo aziendale di prevenzione della responsabilità per contagio da Covid
L’emergenza sanitaria provocata dal COVID-19 impone la revisione dei modelli di gestione della sicurezza sul lavoro in azienda.
Limitare il più possibile il rischio COVID-19 è un dovere per ogni azienda la cui inosservanza può determinare importanti responsabilità sul piano penale o in materia di responsabilità amministrativa degli enti ex D.Lgs. 231/2001.
Diventa essenziale, quindi, per le organizzazioni in questa fase 2 il rispetto del Protocollo condiviso tra Governo e Parti Sociali sottoscritto il 24 aprile 2020 e la cui inosservanza può determinare la sospensione delle attività fino a che non vengano ripristinate le condizioni di sicurezza.
Per rafforzare la propria presenza al fianco delle imprese Fatigato Avvocati Giulavoristi ha stretto una partnership con CO.DE, società leader nel settore della compliance aziendale, dando vita vita ad un Team altamente specializzato che ha definito, seguendo le indicazioni nazionali, una traccia di protocollo aziendale che viene messa gratuitamente a disposizione di Imprese e Professionisti perché possano utilizzarla per le proprie necessità.
La traccia fornisce indicazioni metodologiche utili per l’implementazione di un protocollo davvero adatto alle esigenze delle singole realtà aziendali che vanno dall’analisi del rischio alla individuazione delle funzioni responsabili, dalle misure anti-contagio alla pianificazione dei controlli sul loro rispetto.
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Leggi di più...Covid e responsabilità: allora lo “scudo” era opportuno!
In un articolo LinkedIn di qualche giorno fa, molto criticato, ci ponevamo la domanda: “Infortunio e Covid: perché è necessario uno scudo” e fornivamo, come risposta, che lo “scudo” appariva necessario in ragione del contenuto “aperto” dell’art. 2087 c.c. e, dunque, per il rischio che anche il rispetto pedissequo dei protocolli condivisi non avrebbe garantito l’esenzione da responsabilità del datore di lavoro.
Ciò in quanto, proprio perché norma aperta contenente l’obbligo di adottare ogni possibile misura astrattamente esigibile a tutela della salute dei lavoratori, l’interpretazione dell’art. 2087 c.c. sarebbe stata rimessa alla sensibilità dei singoli Giudici, con la conseguenza che, alcuni di essi, avrebbero potuto ritenere sufficiente l’adozione dei protocolli mentre, altri, avrebbero potuto richiedere l’adozione di ulteriori misure “innominate” rispetto a quelle ivi indicate.
In sostanza, ritenevamo che lo “scudo” fosse opportuno non al fine di rendere esente da responsabilità i datori di lavoro inadempienti alle misure contenute nei protocolli ma solo per esigenze di certezza del diritto, finalizzare a permettere alle imprese di riprendere la propria attività produttiva, nella sicurezza che il pedissequo rispetto delle suddette misure potesse essere insieme sufficiente e necessario per evitarne l’esposizione ad un numero potenzialmente illimitato di procedimenti civili e penali in tema di responsabilità per la tutela dell’integrità psicofisica dei propri dipendenti.
Rilevavamo, invero, che anche il semplice coinvolgimento in processi civili e penali, in numero potenzialmente molto elevato, rappresentasse per l’imprenditore un consistente danno, in termini di impiego di risorse economiche, organizzative e personali, per difendersi nei processi, al di là dell’esito degli stessi, e, dunque, un forte deterrente alla ripresa dell’attività, con conseguenze nefaste anche in termini di livelli occupazionali.
La proposta avanzata era, dunque, quella di emanazione di una norma che, per il periodo di emergenza sanitaria in atto, sancisse espressamente che l’adozione pedissequa e la concreta attuazione delle misure contenute nei protocolli condivisi integrasse esatto adempimento all’obbligo di cui all’art. 2087 c.c. In sostanza, di una norma che, con riferimento alla sola emergenza covid, procedesse alla tipizzazione degli obblighi di cui all’art. 2087 c.c. attraverso il richiamo ai protocolli condivisi.
Ebbene, in un articolo apparso su IlSole24Ore di oggi è riportato che il Ministero del lavoro, in un emendamento al DL Liquidità, ha proposto proprio l’inserimento di una previsione normativa che rispecchia quanto sopra detto, avente il seguente contenuto: “Ai fini della tutela contro il rischio di contagio da SARS-CoV-2, i datori di lavoro pubblici e privati adempiono all’obbligo di cui all’articolo 2087 del Codice civile mediante l’applicazione delle prescrizioni contenute nel protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro, sottoscritto il 24 aprile 2020 fra il Governo e le parti sociali e successive modificazioni e integrazioni, e negli altri protocolli e linee guida di cui all’articolo 1, comma 14, del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33, nonché mediante l’adozione e il mantenimento delle misure ivi previste. Qualora non trovino applicazione le predette prescrizioni, rilevano le misure contenute nei protocolli o accordi di settore stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”.
Riteniamo, dunque, per gli stessi motivi esplicitati nel precedente articolo, che una norma di questo tipo sia espressione di estrema ragionevolezza, in quanto, in questa fase emergenziale, non può esservi il rischio che vengano richieste, ai datori di lavoro, in sede processuale, per andare esenti da responsabilità, misure di prevenzione che nemmeno il Governo, con tutti i tecnici e gli esperti coinvolti, sia stato in grado di individuare.
Norma scudo in bozza DL liquidità
Leggi di più...Quei giorni di maggio quando tutto è suggerito, e niente ancora soddisfatto. (Francis King): Covid-19 e Decreto Maggio
L’espressione di Francis King, novellista e poeta contemporaneo britannico, riportata nel titolo, sembra descrivere perfettamente il contesto e la fenomenologia di quello che, originariamente appellato come Decreto Aprile, è divenuto adesso, per evidenti ragioni temporali, il Decreto Maggio, le cui bozza in questi giorni stanno circolando tra gli operatori.
In particolare, su alcune importanti misure, nonostante i “suggerimenti” (o meglio, le direttive vincolanti) forniti dal Parlamento, in sede di conversione (con L. n. 27/2020) del Decreto Cura Italia, il Governo, assecondando le pressioni dal suo principale interlocutore (il sindacato), ha deciso (contraddittoriamente) di reintrodurre alcune previsioni oggetto di emendamento da parte del supremo organo legislativo.
Così operando, l’esecutivo ha reso “insoddisfatti” non solo tutti gli altri interlocutori ma, soprattutto, con atteggiamento forse eversivo, il Parlamento stesso, di cui dovrebbe, al contrario, essere piena espressione.
Venendo al contenuto concreto della bozza del testo normativo, le principali novità che il Decreto Maggio, in materia di gestione dei rapporti di lavoro, potrebbe apportare alla normativa emergenziale contenuta nei due D.L. Cura Italia e Credito, sono le seguenti.
Il divieto (o meglio, la preclusione al) di licenziamento per ragioni economiche e la sospensione delle procedure già avviate (Art. 46 Cura Italia): viene “prorogata” a cinque mesi (fino al 17 agosto 2020), rispetto ai precedenti sessanta giorni (scadenti il 16 maggio 2020). La terminologia utilizzata dal legislatore fa sorgere dubbi interpretativi sulla sanzione applicabile in caso di inottemperanza alla preclusione (nullità per violazione della norma imperativa o temporanea inefficacia?). L’ampia portata della preclusione (tutti i licenziamenti per gmo e non solo quelli legati all’emergenza sanitaria) e l’estensione dell’intervallo temporale (anche oltre il 31 luglio 2020, data attuale di scadenza del periodo di emergenza sanitaria) fanno sorgere fondati sospetti di illegittimità costituzionale per violazione dell’art. 41 Cost., in tema di libertà di impresa. In aggiunta viene previsto che alle aziende che, tra il 23 febbraio 2020 e il 17 marzo 2020, hanno intimato il recesso per ragioni economiche è consentito di revocare il licenziamento e fare contestuale richiesta di cassa integrazione in deroga.
CIGO ed Assegno ordinario FIS (Art. 19 Cura Italia): Viene elevata a diciotto settimane la durata massima di concessione del trattamento di integrazione salariale ordinario e dell’assegno ordinario (FIS) emergenziali e ampliato il periodo di decorrenza dal 23 febbraio 2020 (primo termine confermato) sino al 31 ottobre 2020 (originariamente era 31 agosto 2020). Con atteggiamento contraddittorio se non eversivo, l’obbligo di informazione, consultazione e di esame congiunto con le organizzazioni sindacali, da svolgersi anche in via telematica entro tre giorni dalla comunicazione preventiva, nonostante sia stato cassato dal Parlamento in sede di conversione in legge del Cura Italia, viene reintrodotto dal Governo, anche se solo in ipotesi di richiesta dell’assegno ordinario FIS.
Viene modificato anche il termine entro cui la domanda di accesso agli ammortizzatori sociali deve essere chiesta dalle aziende: non più entro la fine del quarto mese successivo a quello in cui ha avuto inizio il periodo di sospensione o di riduzione dell’attività lavorativa, bensì entro la fine del mese di inizio del periodo; di conseguenza, la domanda potrà essere presentata con effetto retroattivo al massimo di un mese.Viene previsto espressamente che, anche con riferimento all’assegno ordinario FIS, ai dipendenti spettano gli assegni familiari, così mettendo fine ad una inconcepibile disparità di trattamento, generata da circolari Inps.
Cassa integrazione in deroga (Art. 22 Cura Italia): anche per l’ammortizzatore in deroga viene elevata durata della riduzione o sospensione del rapporto di lavoro a diciotto settimane anziché nove come era previsto dalla versione “originaria” del Cura Italia per periodi decorrenti dal 23 febbraio 2020 al 31 ottobre 2020. Esonerati dall’obbligo di accordo solo le imprese che occupano fino a 5 dipendenti e quelle che sono state costrette a chiudere l’attività per procedimento dell’autorità. Inoltre, sia per la CIGO con causale “COVID-19” che per la CIGS in deroga è chiarito che tra i datori che ne possono beneficiare sono incluse anche le imprese che, nell’anno 2020, hanno sospeso o ridotto l’attività lavorativa a causa dell’impossibilità per i loro dipendenti di raggiungere il luogo di lavoro in ottemperanza ai provvedimenti dell’autorità pubblica di contenimento e di divieto di allontanamento dal proprio territorio, con obbligo di permanenza domiciliare.
Congedo per emergenza COVID -19 (Art. 23 Cura Italia): il periodo di fruizione viene esteso fino al 30 settembre 2020 e viene raddoppiato il numero dei giorni a 30, mentre rimane immutata l’entità della misura (50% della retribuzione). Resta inoltre invariata la regola che prevede che il congedo possa essere fruito alternativamente da entrambi i genitori, purché nel nucleo familiare non vi sia altro genitore non lavoratore o beneficiario di strumenti di sostegno del reddito per sospensione o cessazione dell’attività lavorativa. Viene, invece, limitata ai lavoratori dipendenti del settore privato con figli dell’età di 16 anni, il diritto di astenersi dal lavoro per il periodo di chiusura delle scuole, senza corresponsione di indennità né riconoscimento di contribuzione figurativa, ma con divieto di licenziamento e diritto alla conservazione del posto di lavoro. Occorre, però, che non vi sia altro genitore non lavoratore o beneficiario di strumenti di sostegno del reddito. Infine, in alternativa ai “nuovi congedi”, è prevista la possibilità di scegliere tra la corresponsione di un bonus per l’acquisto di servizi di baby-sitting oppure per l’iscrizione ai servizi integrativi per l’infanzia, nel limite massimo complessivo di 1.200,00 euro.
Estensione della durata dei permessi ex L. n. 104/1992 (Art. 24 Cura Italia): Il numero di giorni di permesso mensile retribuito ex Art. 33, L. n. 104/1992, è incrementato di ulteriori dodici giornate, complessive, usufruibili anche nei mesi di e maggio e giugno 2020.
Tutela dei lavoratori gravemente disabili (Art. 26 Cura Italia): il periodo di assenza prescritto dalle competenti autorità sanitarie o dal medico di base (prima non era indicato) per i soggetti immunodepressi equiparato a ricovero ospedaliero viene esteso fino al 31 luglio 2020.
Sospensione contributo addizionale per il rinnovo dei contratti a termine: In via eccezionale, per agevolare la ripresa delle attività produttive, il contributo addizionale di 0,5 punti percentuali in occasione di ciascun rinnovo dei contratti a termine non sarà dovuto per quelli che saranno rinnovati entro il 31 agosto 2020. Permane la possibilità di rinnovo anche in corso di fruizione degli ammortizzatori sociali secondo quanto previsto dall’art. 19 bis D.L. Cura Italia.
Sorveglianza sanitaria: Fino al 31 luglio 2020, i datori dovranno assicurare la sorveglianza sanitaria eccezionale dei lavoratori maggiormente esposti a rischio di contagio, in ragione dell’età o della condizione di rischio derivante da immunodepressione, anche da patologia COVID-19, o da esiti di patologie oncologiche o dallo svolgimento di terapie salvavita o, comunque, da comorbilità che possono caratterizzare una maggiore rischiosità. Per i datori di lavoro che non hanno l’obbligo di nominare il medico competente, è ammessa la possibilità di nominarne uno per il periodo emergenziale oppure di richiedere che la sorveglianza sanitaria venga svolta dai servizi territoriali delle Aziende Sanitarie Locali o dell’INAIL. Ai lavoratori che risultino temporaneamente inidonei alla mansione sarà erogata dall’INPS, per l’intero periodo di durata dell’inidoneità, un’indennità pari all’80% della retribuzione.
Rimodulazione degli orari di lavoro e Fondo Nuove Competenze: Per consentire la ripresa graduale dell’attività, per il 2020, i contratti collettivi sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o dalle loro rappresentanze sindacali operative in azienda ai sensi della normativa e degli accordi interconfederali vigenti, possono sottoscrivere intese, efficaci nei confronti di tutti i lavoratori interessati, di rimodulazione dell’orario di lavoro per mutate esigenze organizzative e produttive dell’impresa, con le quali parte dell’orario di lavoro sarà finalizzato a percorsi formativi. Gli oneri relativi alle ore di formazione saranno a carico di un apposito Fondo denominato Fondo Nuove Competenze, costituito presso l’ANPAL.
In definitiva, il contenuto della bozza se, da un lato, accoglie qualcuno dei suggerimenti che il primo periodo di applicazione del D.L. Cura Italia ha fornito, dall’altro, tuttavia, lascia molta insoddisfazione su alcuni aspetti che avrebbero richiesto una maggiore attenzione.
Leggi di più...Covid-19: non sussiste un diritto generalizzato dei dipendenti allo Smart Working
In questi giorni ha avuto molto clamore una ordinanza del Tribunale di Grosseto del 23 aprile 2020 (si allega link con testo), resa all’esito di un giudizio ex art. 700 c.p.c., in cui il Giudice ha condannata un’azienda a consentire al lavoratore di espletare la propria attività lavorativa in modalità smart working, prevedendo anche uno strumento di coercizione indiretta (c.d. astrainte) per ogni giorno di ritardo nell’adempimento (€. 50,00).
La lettura delle motivazioni dell’ordinanza permettono di comprendere la peculiarità della situazione su cui si è pronunciato il Tribunale e, dunque, l’impossibilità di generalizzare, anche se limitatamente al periodo emergenziale, un principio, quello secondo cui il lavoratore avrebbe diritto a scegliere le modalità con cui prestare attività lavorativa, contrario all’art. 41 Cost.
In particolare, nel caso in esame, gli elementi concreti e peculiari che rendono condivisibile la pronuncia del Tribunale sono l’invalidità superiore al 60% accertata patita dal lavoratore, la circostanza che tutti i suoi colleghi di reparto fossero stati collocati in smart working dal datore di lavoro e le motivazioni del rifiuto fornite in giudizio da quest’ultimo, manifestamente generiche ed inconsistenti (costi da sostenere per collocare in smart working il ricorrente al rientro da un periodo di malattia ed a fronte del collocamento dei suoi colleghi in lavoro agile già da una settimana) e, dunque, inidonee a giustificare la differenziazione di trattamento.
A fondamento del proprio convincimento, il Giudice ha valorizzato il disposto di cui all’art. 39 D.L. 18/2020, a mente del quale: “1.Fino alla data del 30 aprile 2020, i lavoratori dipendenti disabili nelle condizioni di cui all’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992,n.104 o che abbiano nel proprio nucleo familiare una persona con disabilità nelle condizioni di cui all’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, hanno diritto a svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile ai sensi dagli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81, a condizione che tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione. 2. Ai lavoratori del settore privato affetti da gravi e comprovate patologie con ridotta capacità lavorativa è riconosciuta la priorità nell’accoglimento delle istanze di svolgimento delle prestazioni lavorative in modalità agile ai sensi degli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81“.
Orbene, come emerge chiaramente dal contenuto della norma, mentre i lavoratori affetti da grave disabilità ai sensi della L. 104/92 hanno un vero e proprio diritto a svolgere la propria attività in regime di smart working (comma 1) e, dunque, il datore di lavoro è tenuto ad adattare la propria organizzazione per far fronte a questo diritto, nel caso di dipendenti con riduzione della capacità lavorativa ma non nelle condizioni di cui alla L. 104/92 non viene riconosciuto un diritto ad autodeterminare le modalità di espletamento dell’attività lavorativa ma solo una priorità (temporale) nell’accoglimento delle istanze avanzate in tal senso, ferma restando la libertà del datore di lavoro, tutelata dall’art. 41 Cost., di organizzare modalità di espletamento della prestazione lavorativa dei propri dipendenti.
In sostanza, quanto affermato dal Tribunale di Grosseto non rappresenta un principio generale riguardante tutti i lavoratori ed è condivisibile nella misura in cui si basa sulle seguenti valutazioni:
- il lavoratore era invalido al 60% e, dunque, rientrava nel campo di applicazione del comma 2 sopra riportato;
- i suoi colleghi dello stesso reparto erano stati collocati in smart working e, dunque, il datore di lavoro aveva ritenuto, con propria scelta discrezionale ed insindacabile, che la funzione a cui era detto il lavoratore potesse essere utilmente svolta da remoto;
- il lavoratore aveva un diritto di priorità rispetto ai suoi colleghi ad espletare attività in regime di smart working, ai sensi del comma 2 sopra riportato;
- a fronte del diritto di priorità vantato dal lavoratore, le motivazioni fornite dal datore di lavoro per rigettare l’istanza avanzata non potevano ritenersi idonee e sufficienti.
Così motivata, dunque, la pronuncia del Tribunale di Grosseto può ritenersi conforme al dato normativo ma non permette in alcun modo di affermare la sussistenza generalizzata del diritto di qualsiasi dipendente ad operare in regime di smart working, anche contro la volontà del proprio datore di lavoro.
Tribunale-Grosseto-sez.-lav.-23-aprile-2020-n.-502
Leggi di più...FFT, Michele Fatigato e Francesco Follieri finalisti ai Forty Under40 Awards
Pubblicati i finalisti delle rispettive categorie dei Forty Under 40 Awards di LegalCommunity.
FFT in short-list con il team e con i singoli partner Michele Fatigato e Francesco Follieri.
I vincitori saranno decretati il prossimo 26 marzo durante il gala di Legalcommunity.
In bocca al lupo!
Le categorie:
Avvocato dell’Anno Diritto Amministrativo
Avvocato dell’Anno Energy
Avvocato dell’Anno Infrastructure and constructions
Avvocato dell’Anno Real Estate
Francesco Follieri
Avvocato dell’Anno Labour
Michele Fatigato
Team dell’Anno Diritto Amministrativo
FFT Fatigato Follieri Teta
Team dell’Anno Energy
FFT Fatigato Follieri Teta
Team dell’Anno Labour
FFT Fatigato Follieri Teta
Team dell’Anno Real Estate
FFT Fatigato Follieri Teta