Mobbing orizzontale: datore responsabile solo se messo a conoscenza degli atti vessatori
La Suprema Corte, con l’ordinanza 1109/2020, ha statuito che il datore di lavoro può essere considerato responsabile per violazione dell’art. 2087 c.c., in caso di mobbing orizzontale, vale a dire posto in essere da colleghi di lavoro, solo quando sia messo a conoscenza, da parte del lavoratore, delle condotte vessatorie poste in essere in suo danno.
Ed invero, precisano i giudici di legittimità, la responsabilità del datore di lavoro in caso di mobbing orizzontale presuppone una culpa in vigilando e/o in omittendo, che, per la loro configurazione richiedono necessariamente che lo stesso datore sia a conoscenza delle condotte tenute da propri dipendenti in danno ad un collega e che, nonostante ciò, ometta di vigilare ed attivarsi per porre fine alle stesse, a tutela dell’integrità psico-fisica della vittima.
Proprio sulla scorta di questi principi, nel caso di specie, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso del lavoratore, sulla scorta del fatto che mancasse la prova della consapevolezza del datore di lavoro circa l’esistenza delle condotte persecutorie ai danni della lavoratrice ricorrente, non potendo la responsabilità datoriale essere di tipo oggettivo.
Alla luce di quanto affermato dalla Suprema Corte, può essere utile evidenziare come sia importante per ciascuna impresa, in caso di ricezione di segnalazioni anonime o palesi circa qualsiasi situazione che possa anche astrattamente turbare la salute psicofisica di un proprio dipendente, agire tempestivamente per approfondire l’informazione ricevuta e adottare gli opportuni provvedimenti, ad esempio avviando una investigazione interna e – successivamente, se del caso – un procedimento disciplinare a carico dei lavoratori colpevoli delle vessazioni o delle molestie.
Cass. 1109 del 2020 (mobbing orizzontale presupposti responsabilità datore)
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Infortuni sul lavoro: datore responsabile se non sanziona adeguatamente gli inadempimenti dei lavoratori agli obblighi di sicurezza
Con la sentenza 1683 del 17 gennaio 2020, la Cassazione, Sezione Penale, ha accertato la responsabilità penale del datore di lavoro e del preposto in relazione ad un gravissimo infortunio sul lavoro occorso ad un dipendente, per aver cagionato, in cooperazione colposa tra di loro, l’evento lesivo.
In particolare, i Giudici di legittimità fondano l’imputazione della responsabilità colposa del preposto sul rilievo che la causa dell’infortunio era ascrivibile al fatto che il lavoratore e i suoi colleghi seguivano all’interno del cantiere, per l’operazione di carico delle casseforme, una procedura di lavoro scorretta con il consenso del preposto stesso. Sostanzialmente, il preposto non aveva vigilato correttamente come avrebbe dovuto fare (articolo 19 del Dlgs 81/2008) sull’uso pericoloso di fasce, in contrasto con quanto prevedeva il manuale del costruttore.
La responsabilità del datore di lavoro, viene invece, fondata sulla tolleranza di questa prassi scorretta che veniva sanzionata solo ed esclusivamente con un rimprovero verbale (articolo 2106 del codice civile; articolo 7 della legge 300/1970). Secondo la Cassazione, tuttavia, di fronte a violazioni di tale gravità il datore di lavoro avrebbe dovuto attivarsi seguendo una linea più dura, basata sulla sospensione dall’attività del lavoratore responsabile. La giurisprudenza attribuisce un rilievo, ai fini dell’assolvimento dell’obbligo di vigilanza da parte del datore di lavoro, anche all’entità della sanzione disciplinare irrogata, il che sposta il giudizio sulla proporzionalità della stessa rispetto alla condotta del lavoratore che, secondo il ragionamento dei giudici, è connaturata da una maggiore gravità quando sono violate le norme e le disposizioni aziendali in materia antinfortunistica.
I principi espressi dalla Suprema Corte sono strettamente connessi con l’obbligo di efficace attuazione del modello 231, rispetto al quale le lesioni da infortunio di lavoro costituiscono un reato presupposto; in particolare, l’efficace attuazione del modello impone l’attivazione del sistema disciplinare (che ne rappresenta un contenuto essenziale), con applicazione, per le violazioni del modello, di sanzioni adeguate che abbiano una efficacia deterrente.
Leggi di più...Procedimento disciplinare: Non tutte le malattie sono idonee a giustificare il rinvio dell’audizione verbale
La Suprema Corte, con sentenza n. 980/2020, con riferimento alla correttezza del procedimento disciplinare, ha statuito che la condizione di malattia non può essere ragione di per sé sola sufficiente a giustificarne l’impossibilità a presenziare all’audizione richiesta per rendere oralmente le proprie giustificazioni. .
Il caso è quello del licenziamento per giusta causa di un dipendente che, nel corso del procedimento disciplinare culminato con il provvedimento espulsivo, aveva richiesto, nella missiva di controdeduzioni, di essere sentito oralmente per rendere le proprie giustificazioni.
Tuttavia, una volta convocato per l’audizione orale, per ben due occasioni, aveva richiesto il differimento dell’incontro sulla base di allegati certificati di malattia.
Il datore di lavoro, nel fissare il secondo incontro, aveva chiarito che non avrebbe più rinviato l’audizione, dovendo concludere il procedimento entro determinati termini fissati dal CCNL ed invitando il lavoratore, in caso di prosecuzione dello stato morboso, ad inviare giustificazioni per iscritto.
Il lavoratore non si presentava all’incontro e non presentava alcuna giustificazione cosicché la società, come preavvertito, procedeva al licenziamento del lavoratore.
Il licenziamento comminato è stato impugnato dal lavoratore dinnanzi al giudice del lavoro, che in fase di opposizione e di reclamo nel rito Fornero ne ha confermato la legittimità, sicché il dipendente ha proposto ricorso in Cassazione per sentire dichiarata (fra gli altri motivi) la lesione del proprio diritto di difesa in fase disciplinare, in quanto la società non aveva concesso il secondo dei due differimenti dell’audizione orale richiesti per malattia.
I giudici di merito, secondo la Cassazione, hanno correttamente giudicato, valorizzando l’operato secondo buona fede e correttezza della società datoriale che, dapprima, aveva concesso il differimento del primo incontro, e, successivamente, aveva preavvertito il lavoratore dell’indisponibilità a concedere una terza data (invitandolo a rendere per iscritto le sue controdeduzioni) per non incorrere in decadenza per tardività del provvedimento di recesso, sulla base dell’articolo 55 del Ccnl per dipendenti di Poste Italiane.
Nella motivazione dei giudici di legittimità precisano che lo stato di malattia non integra «di per sé solo, un’impossibilità assoluta del lavoratore, che versi in esso, ad allontanarsi da casa, potendo anzi svolgere persino una diversa attività lavorativa» e non è, pertanto, condizione ostativa a presenziare all’audizione orale. Occorre, piuttosto, la specifica allegazione e prova della natura ostativa dello stato morboso all’allontanamento fisico da casa (o dal luogo di cura) perché sia integrata l’esigenza difensiva «non altrimenti tutelabile».
Leggi di più...Siglato il closing definitivo per l’acquisizione, da parte di Cerealitalia, del ramo “Dolci Preziosi”
Nell’alveo della strategia avviata lo scorso gennaio con la presa in carico della gestione, Cerealitalia I.D. S.p.A., dopo aver svolto l’attività di due diligence legale e contabile, ha acquistato a titolo definitivo il ramo d’azienda dei prodotti dolciari a marchio “Dolci Preziosi”, ceduto da Preziosi Food S.p.A..
A seguito di tale acquisizione Cerealitalia prosegue il piano di espansione e raggiunge l’obiettivo di consolidare il raddoppio del fatturato già conseguito nel corso del 2019 e si posiziona tra i leader di produzione e commercializzazione della uova di Pasqua, con particolare riferimento alle uova destinate al consumo da parte degli infanti ed adolescenti.
Cerealitalia è stata assistita per tutti gli aspetti contrattuali e civilistici dallo studio FFT Fatigato Follieri Teta, con l’avv. Alberto Teta e per gli aspetti labour dall’avv. Michele Fatigato, oltre che da Giorgio Vurchio e Massimo Pellegrino.
Preziosi Food è stata assistita dallo studio legale LMS con l’avv. Giovanni Gomez Paloma, coadiuvato dagli avvocati Olympia Noemi Foà e Irina Lushnikova.
La notizia e maggiori dettagli sono disponibili su vari portali di informazione: qui la rassegna stampa.
Leggi di più...Confcommercio Foggia sigla l’accordo sulla stagionalità
Confcommercio Foggia sigla un accordo territoriale di stagionalità che permetterà alle aziende del settore terziario, distribuzione e servizi, che già applicano il relativo Ccnl, di usufruire del contratto a termine in una modalità più flessibile. Un esempio per molti territori.
Confcommercio Foggia è stata assistita da FFT con l’avv. Michele Fatigato.
La notizia e maggiori dettagli sono disponibili su vari portali di informazione: qui la rassegna stampa.
Leggi di più...Evento: La responsabilità da reato degli Enti- la difesa degli Enti nel D.lgs. 231/2001.
Si terrà venerdì 13 dicembre, presso l’Università degli Studi della Basilicata, a Potenza, una giornata di incontro dedicata al Decreto Legislativo 231/2001 – Organismo di Vigilanza.
Titolo del convegno, organizzato dalla Camera Penale e Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Potenza con il patrocinio dell’Università degli Studi della Basilicata, “La responsabilità da reato degli Enti: la difesa degli Enti nel D.lgs. 231/2001. Dal Modello organizzativo al processo penale. Evoluzioni legislative e attuazione pratica del modello”
Leggi di più...Incompatibilità ambientale: legittimo il trasferimento
La Suprema Corte, con sentenza n. 27345/2019, ha confermato il principio secondo cui il trasferimento del dipendente dovuto ad incompatibilità aziendale, trovando la sua ragione nello stato di disorganizzazione e disfunzione dell’unità produttiva, va ricondotto alle esigenze tecniche, organizzative e produttive, di cui all’art. 2103 c.c., piuttosto che, sia pure atipicamente, a ragioni punitive e disciplinari.
Di conseguenza, secondo gli ermellini, la legittimità del provvedimento di trasferimento prescinde dalla colpa (in senso lato) dei lavoratori trasferiti, e non richiede, da parte del datore di lavoro, l’osservanza delle garanzie sostanziali e procedimentali cpreviste per l’irrogazione delle sanzioni disciplinari.
Nell’ipotesi di incompatibilità ambientale, dunque, così come nella generalità delle ipotesi sussumibili nell’art. 2103 c.c., il controllo giurisdizionale sulle comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive, che legittimano il trasferimento del lavoratore, deve essere diretto ad accertare soltanto se vi sia corrispondenza tra il provvedimento datoriale e le finalità tipiche dell’impresa e, trovando un preciso limite nel principio di libertà dell’iniziativa economica privata (garantita dall’art. 41 Cost.), il controllo stesso non può essere esteso al merito della scelta imprenditoriale, né questa deve presentare necessariamente i caratteri della inevitabilità, essendo sufficiente che il trasferimento concreti una tra le scelte ragionevoli che il datore di lavoro possa adottare sul piano tecnico, organizzativo o produttivo.
Cass. 27345 del 2019 (trasferimento per incompatibilità ambientale)
Leggi di più...Sicurezza sul lavoro: se il giudice omette di valutare il modello 231 la società non può essere sanzionata
Ancora una volta gli Ermellini, con sentenza n. 43656/19, tornano sul tema della responsabilità “penale” degli enti ai sensi del D. L.GS. 231/01 e sui vantaggi per le società di munirsi di un modello organizzativo e gestionale che possa esimere le stesse da contestazioni derivanti da condotte poste in essere dai propri dipendenti con ruoli di coordinamento.
In particolare, i Giudici della Cassazione penale hanno precisato che la società non può essere penalmente sanzionata, in caso di contestazione della violazione delle norme in materia di sicurezza sul lavoro, qualora il Giudice abbia omesso di valutare il modello organizzativo 231 regolarmente adottato.
Cass. 43656 del 2019 (no sanzione ente senza valutazione 231)
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CEDU: si alle telecamere in azienda per sventare i furti dei dipendenti
Secondo la Corte di Strasburgo (causa López Ribalda e altri contro Spagna), poiché il supermercato è un luogo aperto al pubblico e la videosorveglianza è stata di breve durata e limitata solo al luogo in cui si trovavano le casse, senza coinvolgere attività di natura privata dei lavoratori, la sorveglianza disposta dal datore di lavoro, a mezzi telecamere, non contrasta con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
In particolare, il ricorso alla Corte europea era stato presentato da alcuni dipendenti di un supermercato per i quali l’installazione di alcune telecamere, decisa dal datore per individuare i responsabili del furto di prodotti, avvisando i dipendenti solo dell’esistenza di alcune telecamere, nascondendone altre, era contraria alla Convenzione. La Camera, con la sentenza del 2018, aveva accolto il ricorso ritenendo violato l’articolo 8 che assicura il rispetto della vita privata, ma aveva dato il via libera allo Stato sull’utilizzo dei filmati nel processo, in presenza di alcune condizioni.
Il Governo spagnolo aveva chiesto che il caso fosse portato dinanzi alla Grande Camera che ha dato ragione a Madrid.
Innanzitutto, i Giudici di Strasburgo hanno fissato i parametri per valutare se le misure di videosorveglianza disposte nei luoghi di lavoro siano proporzionali, chiarendo che i criteri fissata dalla Corte europea per il controllo di email (sentenza Barbelescu) sono applicabili anche alla videosorveglianza.
Per la Grande Camera, le autorità nazionali devono garantire un giusto equilibrio tra gli interessi in gioco ossia il rispetto della privacy da un lato e, dall’altro lato, l’esigenza datoriale di proteggere i propri beni e assicurare il buon funzionamento dell’attività economica, soprattutto esercitando il proprio potere disciplinare.
In questa vicenda, i giudici spagnoli avevano effettuato un giusto bilanciamento anche perché la mancata informazione preliminare ai dipendenti sull’installazione di alcune telecamere era giustificata dal sospetto di gravi irregolarità e dalle perdite economiche per il datore di lavoro, circostanze che «possono essere considerate come giustificazioni serie» per una limitazione della privacy. E questo – osserva la Corte – soprattutto quando c’è il sospetto che si tratti di un’azione concertata tra più dipendenti. Possibile, poi, l’utilizzo dei filmati nel corso del processo quando non si tratta dell’unico elemento di prova.
La sentenza di Strasburgo non dovrebbe incidere sulla normativa italiana in materia di videocontrolli, possibili a determinate condizioni e per la quale fa da punto di riferimento l’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori (legge 300/1970) come modificato dal Dlgs 151/15.
Il nuovo testo consente, infatti, al datore di installare impianti audiovisivi e altri strumenti da cui derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, purché questi strumenti siano impiegati solo per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e la loro installazione sia avvenuta previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali, oppure, in mancanza di accordo, sia stato ottenuto il via libera preventivo dell’Ispettorato nazionale del lavoro.
Leggi di più...Cambio di appalto e trasferimento di azienda
La Suprema Corte, con la sentenza n. 21615/2019, ha chiarito che, in caso di successione di un imprenditore ad un altro in un appalto di servizi, non esiste un diritto dei lavoratori licenziati dall’appaltatore cessato al trasferimento automatico all’impresa subentrante, ma occorre accertare in concreto che vi sia stato un trasferimento di azienda, ai sensi dell’art. 2112 c.c., mediante il passaggio di beni di non trascurabile entità, nella loro funzione unitaria e strumentale all’attività di impresa, o almeno del “know how” o di altri caratteri idonei a conferire autonomia operativa ad un gruppo di dipendenti.
Il caso di specie traeva origine dal ricorso, presentato da un lavoratore, finalizzato ad ottenere il riconoscimento del diritto di proseguire il rapporto di lavoro ex art. 2112 c.c. alle dipendenze della società subentrante nell’appalto precedentemente affidato alla società sua ex datrice di lavoro, concernente il servizio regionale di emergenza “118”. La domanda del lavoratore veniva accolta sia in primo che in secondo grado.
La società, nel ricorrere in Cassazione, con il primo motivo di ricorso, denunciava la violazione dell’art. 2112 c.c. per avere la sentenza impugnata «confuso due concetti distinti quali quelli del passaggio del servizio e quello del trasferimento di azienda». Secondo parte ricorrente, nel caso di specie non sarebbe applicabile l’art. 2112 c.c., avendo l’organizzazione aziendale della società subentrante nell’appalto natura «assolutamente innovativa ed originaria», in quanto nessun elemento dell’organizzazione del precedente appaltatore era stato trasferito al nuovo.
La Corte di Cassazione ha accolto il predetto motivo di ricorso.
La Suprema Corte ha sottolineato, anzitutto, che in materia di trasferimento di azienda si applica la disciplina dell’art. 2112 c.c. nel caso in cui, pur rimanendo immutata l’organizzazione aziendale, si verifichi la sostituzione della persona del titolare del rapporto di lavoro e il suo subentro nella gestione del complesso dei beni ai fini dell’esercizio dell’impresa, senza che rilevi lo strumento tecnico giuridico adottato e la sussistenza di un vincolo contrattuale diretto tra cedente e cessionario (in questo senso, Cass. n. 26808 del 23/10/2018).
La Corte ha inoltre richiamato la giurisprudenza prevalente in tema di trasferimento di azienda, ricordando che «in caso di successione di un imprenditore ad un altro in un appalto di servizi, non esiste un diritto dei lavoratori licenziati dall’appaltatore cessato al trasferimento automatico all’impresa subentrante, ma occorre accertare in concreto che vi sia stato un trasferimento di azienda, ai sensi dell’art. 2112 c.c., mediante il passaggio di beni di non trascurabile entità, nella loro funzione unitaria e strumentale dell’attività di impresa, o almeno del “know how” o di altri caratteri idonei a conferire autonomia operativa ad un gruppo di dipendenti, altrimenti ostandovi il disposto dell’art. 29, comma 3, del d.lgs. n. 276 del 2003, non in contrasto, sul punto, con la giurisprudenza eurounitaria che consente, ma non impone, di estendere l’ambito di protezione dei lavoratori di cui alla direttiva n. 2001/23/CE ad ipotesi ulteriori rispetto a quella del trasferimento di azienda» (ex pluribus, Cass. n. 26808 del 23/10/2018, Cass. n. 24972 del 6/12/2016).
Ad avviso della Suprema Corte, il giudice dell’appello aveva errato nel ricondurre la fattispecie accertata all’ipotesi di cui all’art. 2112 c.c., posto che l’azienda subentrata nell’appalto del servizio “118” era stata autorizzata a rivolgersi al mercato per il reperimento delle ambulanze, elemento imprescindibile per l’espletamento del servizio, ed aveva, a tal fine, stipulato apposito contratto di leasing con terze parti.
Tale metodo di approvvigionamento è stato ritenuto dalla Suprema Corte quale «elemento che di per sé solo vale a spezzare ogni continuità con il complesso organizzato» del precedente appaltatore.
La Corte ha quindi concluso per l’accoglimento del predetto motivo di ricorso, cassando la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto.
Cass. 21615 del 2019 (cambio di appaltoe trasferimento di azienda)
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