
Responsabilità solidale negli appalti: quali confini?
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22110/2019, ha chiarito alcuni aspetti fondamentali con riferimento al perimetro della responsabilità solidale del committente nel contratto di appalto, di cui all’art. 29, comma 3, D.Lgs. n. 276/2003 (c.d. legge Biagi).
In particolare, i giudici della Suprema Corte hanno, innanzitutto, precisato che la responsabilità solidale concerne esclusivamente gli emolumenti che il datore di lavoro deve corrispondere ai propri dipendenti, aventi natura strettamente retributiva, e riguarda solo il periodo in cui il rapporto di lavoro è stato interessato dall’appalto. Di conseguenza, la solidarietà non può estendersi sino a ricomprendere, ad esempio, l’indennità sostitutiva ferie non godute o le somme che sono state riconosciute al lavoratore a titolo di risarcimento del danno da licenziamento illegittimo.
La Suprema Corte, inoltre, ha chiarito che il termine biennale dalla cessazione dell’appalto entro il quale vige la solidarietà tra il committente imprenditore o datore di lavoro e l’appaltatore (e gli eventuali subappaltatori). ha natura di un termine di decadenza per la proposizione dell’azione giudiziale per i crediti per i quali è prevista la solidarietà. Di conseguenza, il lavoratore, entro il suddetto termine, ha l’onere di depositare il ricorso giudiziale, non essendo sufficiente, ad evitare la decadenza, l’inoltro di una semplice missiva di costituzione in mora.
Infine, i giudici di legittimità hanno precisato che, in ogni caso, il termine di due anni previsto dall’articolo 29 non deve applicarsi all’azione promossa dagli enti previdenziali, la quale è soggetta alla sola prescrizione quinquennale.
Cass. 22110 del 2019 (confini responsabilità solidale appalto)
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Pausa pranzo eccessivamente prolungata: licenziato!
Il lavoratore che prolunga eccessivamente la pausa pranzo oltre il tempo consentito, senza aver completato il lavoro assegnatoli può essere licenziato per giusta causa. Così è stato valutato dalla Suprema Corte il comportamento tenuto da un postino che, quale conseguenza di tale inadempimento, è stato licenziato per giusta causa.
In particolare, la Suprema Corte, con sentenza n. 21628/2019, ha confermato la sentenza della Corte di Appello che, come il Giudice di primo grado, aveva ritenuto legittimo e proporzionato il licenziamento.
In particolare, per giungere a tale conclusione, la Suprema Corte ha affermato i seguenti principi:
- la sanzione può essere reintegratoria solo se il fatto contestato sia espressamente sanzionato dal CCNL con una sanzione conservativa, senza possibilità di interpretazione estensiva della norma pattizia;
- la condotta di chi deliberatamente, pur in presenza di attività lavorativa da completare, prolunghi pausa pranzo oltre il termine fissato dal datore di lavoro, non è equiparabile all’assenza ingiustificata (che richiede un numero di giorni minimi per il licenziamento) bensì alla più grave fattispecie del rifiuto consapevole di espletamento delle proprie mansioni, che legittima il licenziamento in tronco.
Sotto quest’ultimo profilo, secondo la Cassazione, letteralmente è stato «ragionevolmente…escluso che la condotta di chi apertamente e dichiaratamente non si reca al lavoro, con comportamento immediatamente percepibile dal datore di lavoro, sia omologabile a quella di chi, pur risultando in servizio, si sottrae all’adempimento della prestazione, confidando in un’apparenza di regolarità lavorativa che si svolge al di fuori del controllo diretto datoriale e, anzi, non portando a termine il lavoro dovuto».
Nel caso sottoposto alla Suprema Corte, peraltro, la condotta era aggravata dall’aver lasciato incustodito il mezzo di trasporto durante il pranzo e nell’aver fatto tutto ciò in modo visibile ai concittadini che hanno presentato un esposto per malfunzionamento del servizio postale.
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Quota 100: ulteriori chiarimenti dall’Inps con la circolare 117/2019
Ai fini del rispetto del divieto di cumulo tra pensione con quota 100 e redditi da lavoro, devono essere presi in considerazione sia i compensi da lavoro autonomo occasionale liquidati nei mesi precedenti la decorrenza della pensione sia quelli successivi al compimento dell’età prevista per la pensione di vecchiaia (ovviamente nel solo anno di compimento). Pertanto, un lavoratore che accede a quota 100 il 1° settembre 2019 e nei primi otto mesi dell’anno ha superato il limite dei 5mila euro annui, si trova in una situazione di incumulabilità.
Questo è uno degli ulteriori chiarimenti forniti dall’Inps con la circolare 117/2019 (allegata), in materia di incumulabilità della pensione con i redditi da lavoro per coloro che accedono a pensione quota 100.
Come previsto dal Dl 4/2019, infatti, la pensione non è cumulabile, dal giorno di decorrenza della stessa e fino al raggiungimento del requisito anagrafico previsto tempo per tempo per la pensione di vecchiaia, con i redditi da lavoro dipendente o autonomo, a eccezione di quelli derivanti da lavoro autonomo occasionale nei limiti di 5mila euro lordi annui.
Redditi ammessi e vietati
I redditi da lavoro autonomo e d’impresa rilevano al lordo delle ritenute erariali e al netto dei contributi previdenziali finalizzati a costituire la posizione previdenziale dell’interessato. Rilevano, ai fini del lavoro autonomo, i redditi comunque conseguiti ad attività lavorativa svolta senza il vincolo di subordinazione, prescindendo dalla modalità di dichiarazione al Fisco. Rilevano, a tal fine, i compensi percepiti per l’esercizio di arti, quelli di impresa conseguiti a seguito di attività lavorativa, ivi comprese le partecipazioni agli utili derivanti da contratti di associazione in partecipazione, salva l’ipotesi in cui il pensionato dichiari che ha partecipato con il solo capitale senza svolgere attività lavorativa, i diritti di autore e i brevetti.
I redditi che non rilevano ai fini della incumulabilità sono le indennità percepite dagli amministratori locali, i redditi di impresa non connessi ad attività lavorativa, i compensi per l’esercizio della funzione sacerdotale, le indennità per l’esercizio della funzione di giudice di pace nonché quelle percepite dai giudici onorari e dai giudici tributari, l’indennità sostitutiva del preavviso avente carattere risarcitoria e non retributiva, i redditi derivanti da attività svolte nell’ambito di programmi di reinserimento degli anziani in attività socialmente utili, le indennità di trasferta e missioni e l’indennizzo per la cessazione dell’attività commerciale.
Incasso posticipabile
Onde evitare la sospensione del trattamento, durante il godimento della pensione non è possibile percepire redditi per attività di lavoro svolta nei periodi di percezione della pensione. Al contrario, durante il godimento della pensione, è possibile riscuotere redditi per attività di lavoro svolto prima dell’accesso alla pensione.
Superata l’età anagrafica prevista per la pensione di vecchiaia, è possibile riscuotere redditi per attività di lavoro svolta durante il godimento della pensione.
Circolare117-2019 (compatibilità compenso per lavoro autonomo occasionale)
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Licenziamento: valenza meramente esemplificativa delle tipizzazioni di giusta causa contenute nei CCNL
Con sentenza n. 18195/19, la Suprema Corte ha confermato il principio secondo cui le tipizzazioni di giusta causa contenute nel CCNL di settore hanno valore meramente esemplificativo, in quanto la nozione di “giusta causa” è di fonte legale ed è contenuta nell’art. 2119 c.c.
Nel caso in esame il datore di lavoro aveva licenziato per giusta causa una dipendente con mansioni di portalettere, per aver distrutto, a propria discrezione, circa 20 chili di materiale pubblicitario, cosiddetto «promo posta», che non era riuscita a consegnare tempestivamente per le condizioni meteo avverse nei giorni antecedenti il fatto.
Per il datore di lavoro la dipendente aveva agito in violazione di specifiche norme aziendali e, in particolare, della procedura di smaltimento dei materiali inesitati, finalizzata proprio a limitare la discrezionalità del portalettere, evitando che questi possa distruggere autonomamente il materiale, decidendo quando la consegna non sia più necessaria.
La Corte d’appello di Roma – confermando la pronuncia del giudice di primo grado (Tribunale di Cassino) – aveva dichiarato tuttavia l’illegittimità del licenziamento in quanto, a suo dire, non poteva dirsi integrata alcuna delle ipotesi contemplate nella contestazione disciplinare per cui, in base al contratto collettivo applicato, era prevista la sanzione disciplinare del licenziamento senza preavviso, ritenendo semmai applicabile una sanzione conservativa.
Il datore di lavoro ricorreva in Cassazione articolando due motivi di ricorso con i quali, per quanto qui di interesse, veniva eccepita la violazione e falsa applicazione degli articoli 2104, 2105, 2106 e 2119 del Codice civile in combinato disposto con l’articolo 54 del ccnl applicato per avere escluso la giusta causa di licenziamento, deducendo che oggetto della contestazione disciplinare era stata «la volontaria distruzione di materiale postale, con riferimento alla consapevole e dolosa violazione di specifica norma regolamentare che vieta categoricamente e senza eccezioni al portalettere di distruggere autonomamente materiale postale affidato per la consegna e gli impone di seguire specifiche procedure anche per la distruzione della posta danneggiata o inesitata».
La Cassazione, nell’accogliere il primo motivo di ricorso, con assorbimento del secondo, ha fondato il proprio convincimento sul consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui in materia disciplinare non è vincolante la tipizzazione contenuta nella contrattazione collettiva ai fini dell’apprezzamento della giusta causa di recesso, rientrando il giudizio di gravità e proporzionalità della condotta nell’attività sussuntiva e valutativa del giudice, purché vengano valorizzati elementi concreti della fattispecie, di natura oggettiva e soggettiva, coerenti con la scala valoriale del contratto collettivo, oltre che con i principi radicati nella coscienza sociale, idonei a ledere irreparabilmente il vincolo fiduciario.
Nel caso di specie, la Corte di legittimità ha, infatti, rilevato l’assenza di alcuna indagine – da parte dei giudici di merito – sull’intensità dell’elemento psicologico nel comportamento consapevole e volontario di violazione della normativa interna da parte della dipendente e in ordine al nesso tra condotta e pregiudizio per la regolarità del servizio (pubblico) di recapito.
In conclusione, la Cassazione ha, pertanto, stabilito che «spetta al giudice di merito valutare la congruità della sanzione espulsiva non sulla base di una valutazione astratta del fatto addebitato, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto della vicenda processuale che, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico, risulti sintomatico della sua gravità rispetto ad un’utile prosecuzione del rapporto di lavoro» e, pertanto, ha cassato la sentenza rinviando la causa alla Corte territoriale che, in diversa composizione, dovrà procedere ad un nuovo esame della questione uniformandosi a tale condivisibile principio di diritto.

Licenziamento collettivo: criteri di scelta contestabili solo da chi vi abbia interesse
La Suprema Corte, con sentenza n. 13871 del 2019, in tema di licenziamento collettivo, ha ribadito i seguenti principi, ormai divenuti ius receptum:
- se la ristrutturazione o riorganizzazione aziendale è riferita a uno specifico reparto o stabilimento (unità produttiva) da sopprimere, si ritiene valida la scelta che determina l’applicazione dei licenziamenti a quello specifico ambito aziendale, purché, nella comunicazione di avvio della procedura, sia motivata la ragione della limitazione dell’esubero alla singola unità produttiva o al singolo reparto;
- l’interesse ad agire con riferimento alla contestazione delle modalità di attuazione dei criteri di scelta concordati con le OO.SS. o, in assenza di accordo, dettati dalla legge, da parte del datore di lavoro, sussiste solo in capo al lavoratore che, in caso di corretta applicazione dei suddetti criteri, non sarebbe rientrato tra i licenziandi.
Proprio in applicazione di tali principi, i Giudici di legittimità, nella fattispecie concreta oggetto di giudizio, hanno confermato la pronuncia della Corte di Appello, che aveva ritenuto insussistente l’interesse ad agire del lavoratore, in quanto questi, anche applicando correttamente i criteri di scelta, sarebbe, comunque, rientrato tra i lavoratori da licenziare.
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No all’interpretazione estensiva del CCNL ai fini della reintegra
In tema di licenziamento per giusta causa soggetto, la Cassazione, con due pronunce rese a breve distanza la 12365/2019 e la 14500/2019 , ha ritenuto che, in presenza di una condotta non rientrante tra quelle punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi, non è consentito al giudice reintegrare in servizio il dipendente, operando un’estensione delle condotte descritte dal Ccnl «sul presupposto del ritenuto pari disvalore disciplinare».
In sostanza, poiché il sistema di tutele creato dal legislatore dapprima con la Fornero e successivamente con il Jobs act prevede la reintegra come ipotesi sanzionatoria residuale ed eccezionale , non è consentito al Giudice interpretare estensivamente le fattispecie a cui essa è ricollegata (insussistenza di un fatto disciplinarmente rilevante ovvero, nel solo caso della Fornero, condotte punibili con sanzioni conservative dal CCNL di settore).
Di conseguenza, la tutela reale attenuata potrà essere concessa solo qualora il CCNL applicato al rapporto di lavoro preveda espressamente e letteralmente che la condotta contestata sia punita con sanzioni conservative. In tutte le altre ipotesi, indipendentemente dalla misura del disvalore della condotta, la tutela applicabile sarà quella indennitaria, avente carattere generale.
Cass. 14500 del 2019 (reintegra solo se sanzione conservativa espressamente prevista da CCNL)
Cass. 12365 del 2019 (condotte punite da CCNL con sanzioni conservative limiti reintegra)
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Infortuni sul lavoro: la responsabilità è del lavoratore se cade sul pavimento bagnato incurante dei cartelli di avvertimento
La Suprema Corte, con la sentenza n. 14066/2019, ha escluso la responsabilità del datore di lavoro in un infortunio occorso ad un proprio dipendente, che, incurante dei cartelli di avvertimento del pericolo e delle direttive impartitegli, era scivolato sul pavimento bagnato, nel mentre venivano effettuate le attività di pulizia.
L’azienda, infatti, precisano i Giudici di legittimità, risponde, per i danni al personale solo quando viola, in concreto, una regola fissata da norme specifiche o, comunque, suggerita dalla tecnica.
Nel corso del giudizio di appello, l’azienda era stata riconosciuta responsabile per non aver adottato tutte le misure organizzare adeguate a prevenire l’infortunio; in particolare, secondo i giudici di merito, avrebbe dovuto organizzare i servizi di pulizia (svolti da un’impresa appaltatrice esterna) fuori dall’orario di lavoro.
La Corte di cassazione, in accoglimento del ricorso della società, ha ritenuto erronea questa motivazione, precisando che l’articolo 2087 del codice civile, che regola la responsabilità del datore di lavoro in materia di sicurezza, non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva.
Partendo da tale presupposto, prosegue la Corte, il datore di lavoro è responsabile per i danni alla salute solo quando l’evento è dovuto a una sua colpa. Elemento che può consistere nella violazione di regole di comportamento fissate da norme specifiche o, comunque, nella mancata adozione di cautele suggerite dalla tecnica.
Nel caso della dipendente scivolata sul pavimento bagnato, la Cassazione non ha ritenuto sussistente alcuna colpa del datore di lavoro, escludendo che la scelta di consentire lo svolgimento delle pulizie durante l’orario di lavoro potesse configurare condotta negligente, imperita o imprudente, in quanto lo stesso era ampiamente segnalato da appositi segnali, e l’addetto che stava svolgendo il servizio aveva segnalato anche verbalmente il pericolo. Di fronte alla libera scelta della dipendente di ignorare questi avvertimenti, configurabile come rischio elettivo, il datore di lavoro deve andare immune da qualsiasi responsabilità.
Cass. 14066 del 2019 (infortunio sul lavoro e rischio elettivo caduta pavimento)
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Top Legal Industry Awards: FFT Fatigato Follieri Teta vince nella categoria PMI
16 Maggio 2019 – Serata di gala a Palazzo Mezzanotte (Borsa Italiana) per la premiazione dei Vincitori dei Top Legal Industry Awards 2019 – IV Edizione.
Lo Studio FFT Fatigato Follieri Teta, jv legale di recente nascita di cui Fatigato Avvocati Giuslavoristi è partner fondatore insieme a Enrico Follieri & Associati e allo Studio Legale Teta, ha convinto la Commissione Tecnica – composta da 65 figure apicali provenienti dalle maggiori direzioni legali, fiscali e finanziarie in Italia – e si è aggiudicato la vittoria nella categoria Studio – PMI.
A ritirare il premio: Ilde, Luigi, Francesco Follieri e Alberto Teta, anche in rappresentanza del Partner Michele Fatigato.
Per le categorie Energia – Rinnovabili e Trasporti, in cui FFT era inoltre finalista, la vittoria è andata rispettivamente alle firm Legance e BonelliErede, due forti realtà del diritto con cui FFT è orgoglioso di aver conteso il premio.
Riporteremo la motivazione della vittoria a breve.
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Fatigato Avvocati Giuslavoristi nel Rapporto de Il Sole 24 Ore “Studi Legali 2019”
Fatigato Avvocati Giuslavoristi si è aggiudicato un posto nel Rapporto “Studi Legali 2019” pubblicato da Il Sole 24 Ore.
L’indagine, alla sua prima edizione in Italia, è stata svolta da Statista, società tedesca specializzata in analisi ed elaborazione dati che ha individuato gli studi in base alle segnalazioni di avvocati, giuristi di impresa e clienti.
Fatigato Avvocati Giuslavoristi è stato selezionato nella categoria nazionale “Lavoro”, insieme a preminenti studi domestici e diverse Law Firm internazionali.
Intervistato da Dario Aquaro de Il Sole 24 Ore sul peso della consulenza legale in ambito di privacy, Michele Fatigato ha affermato “mentre le grandi law firm hanno internalizzato certe funzioni, le boutique legali come la nostra si sono mosse siglando partnership con team di esperti nelle varie materie, non riconducibili in senso stretto al diritto del lavoroe che richiedono una competenza specifica. Penso al tema della privacy, ma anche a quelli penali e societari, e quindi a tutti gli aspetti connessi alla normativa 231”.
La lista degli studi selezionati è disponibile a questo link.
#studilegali2019
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Le Fonti Employment Awards 2019: premiato lo studio legale pugliese Fatigato Avvocati Giuslavoristi
Si è tenuta lo scorso mercoledì 8 maggio, a Palazzo Mezzanotte sede della Borsa Italiana, la serata dei Le Fonti Employments Awards 2019, nota kermesse del mondo giuridico patrocinata dalla Commissione Europea, volta a premiare le eccellenze del mercato legale nazionale.
In occasione dell’evento, lo studio legale pugliese Fatigato Avvocati Giuslavoristi, membro della joint venture FFT Fatigato Follieri Teta, si è aggiudicato un posto nella Top Ten Boutique ed il titolo di Boutique d’eccellenza dell’anno diritto del lavoro fast growing.
“Questo risultato – commenta il socio Michele Fatigato – premia gli sforzi compiuti e tuttora in atto, volti a valorizzare la nostra lunga tradizione di avvocati del lavoro corporate, così come lo spirito di innovazione e crescita che anima la nuova generazione dei nostri giuslavoristi”.
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