Violazione termine irrogazione licenziamento e tutela indennitaria
Con sentenza n. 10802/2023, la Suprema Corte, inserendosi nel solco tracciato dalla Sezioni Unite con la sentenza n. 30985/2017, ha affermato il principio secondo cui in caso di violazione dei termini previsti della contrattazione collettiva per la comunicazione del provvedimento conclusivo del procedimento disciplinare, integra una violazione di natura procedimentale e comporta l’applicazione della sanzione indennitaria dell’articolo 18, comma 6, mentre una tutela maggiore per il lavoratore può conseguire unicamente a fronte di un ritardo notevole e non giustificato nella intimazione del licenziamento, così come nella contestazione disciplinare, in grado di ledere in senso non solo formale ma anche sostanziale il principio di tempestività.
Cass. 10802 del 2023 (violazione termine CCNL tutela indennitaria)
Leggi di più...Il valore probatorio della dichiarazioni rese da terzi agli ispettori
La Suprema Corte, con la recente sentenza n. 24208/2020, è tornata a pronunciarsi sul valore probatorio delle dichiarazioni rese dai terzi agli ispettori del lavoro, in sede di ispezione, in caso di contrasto tra di esse e le deposizioni testimoniali successivamente rese in giudizio dai dichiaranti.
Ed invero, in passato, le soluzioni fornite dai Giudici di legittimità risultavano essere contrastanti, in quanto, in alcuni casi, si riteneva la prevalenza della deposizione testimoniale, in quanto formata nel rispetto dei principi del contraddittorio governato dal Giudice terzo, mentre, in altri casi, si affermava la prevalenza delle dichiarazioni rese in sede ispettiva, in quanto caratterizzate da immediatezza e maggiore spontaneità.
La Corte di Cassazione, nella vicenda in esame, confermando gli ultimi arresti in materia, propende per una tesi mediana, secondo cui “la valutazione complessiva delle risultanze di causa ben consente al giudice di attribuire maggior rilievo alle circostanze riferite dagli interessati ai verbalizzanti, nell’immediatezza dei fatti, piuttosto che alle circostanze da essi riferite in sede di deposizione in giudizio, cfr. Cass. n. 17555/02, e che in sostanza i verbali di contravvenzione forniscono elementi di valutazione liberamente apprezzabili dal giudice, il quale può peraltro anche considerarli prova sufficiente delle relative circostanze, sia nell’ipotesi di assoluta carenza di elementi probatori contrari – considerata la sussistenza in capo al datore di lavoro, obbligato ai versamenti contributivi, del relativo onere probatorio -, sia qualora il giudice di merito, nel valutare nel suo complesso il materiale probatorio a sua disposizione, pervenga, con adeguata motivazione, al convincimento della effettiva sussistenza degli illeciti denunciati (cfr. Cass. n. 11900/03, Cass. n. 3527/01, Cass. n. 9384/95)“.
In sostanza, secondo l’orientamento più recente e che va via via sempre più consolidandosi, le dichiarazioni rese ai verbalizzanti sono elementi di prova liberamente valutabili e possono assurgere a prova sufficiente delle circostanze riferite sia allorquando non vi siano elementi probatori contrari sia qualora, pur in presenza di deposizioni testimoniali di segno opposto (anche se rese dagli stessi soggetti), il Giudice, valutando complessivamente tutto il materiale probatorio a sua disposizione, con adeguata motivazione, giunga al convincimento della sussistenza degli illeciti contestati dagli ispettori.
La motivazione, per essere adeguata, dovrà esplicitare le ragioni per cui il Giudice, all’esito della concreta valutazione del elementi di prova raccolti, abbia ritenuto maggiormente attendibili le dichiarazioni rese nell’immediatezza dei fatti rispetto a quanto testimoniato, in giudizio, dai medesimi soggetti.
Cass. 24208 del 2020 (valore dichiarazioni terzi ispettori)
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Assenza per infortunio: legittimo il controllo tramite investigatore
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 11697/2020, ha confermato la pronuncia di merito che aveva ritenuto legittimo il licenziamento per giusta causa di un dipendente che aveva violato gli obblighi di correttezza e buona fede gravanti su un dipendente assente per infortunio sul lavoro.
In particolare, il datore di lavoro, a mezzo agenzia investigativa, accertava che il dipendente aveva espletato, durante l’assenza per infortunio, alcune attività fisiche (lunghe passeggiate in bicicletta o a piedi con il figlio sulle spalle), incompatibili con la patologia di contusione al ginocchio e la prescrizione di riposo assoluto rilasciata dal pronto soccorso al momento del verificarsi dell’evento.
I Giudici di legittimità, inoltre, hanno ritenuto legittimo l’accertamento a mezzo investigatore privato, inquinato lo stesso aveva ad oggetto condotte illecite extralavorative del dipendente e non l’adempimento alla prestazione lavorativa in senso stretto.
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Socio-amministratore: obbligo doppia iscrizione ai fini Inps?
La Corte di Cassazione, con una serie di sentenze “gemelle” (di cui l’ultima Cass. 26 luglio 2019, nn. 20369), ha chiarito il regime previdenziale del socio amministratore, con riferimento all’obbligo di doppia iscrizione, alla gestione separata ed a quella commercianti.
I Giudici di legittimità, in primo luogo, hanno ribadito che con riferimento alla gestione separata ed a quella commercianti non opera il criterio della iscrizione alla gestione relativa all’attività prevalente, criterio che si limita a regolare i rapporti tra gestione commercianti, gestione artigiani e gestione coltivatori diretti, come da interpretazione autentica contenuta nell’art. 12, comma 11, D.L. 78/2010.
Di conseguenza, in presenza di sussistenza dei requisiti per l’iscrizione all’una ed all’altra gestione, il socio amministratore è tenuto alla doppia iscrizione.
Con riferimento alla gestione commercianti, in particolare, la Suprema Corte precisa che presupposto per l’iscrizione è lo svolgimento personale, abituale e prevalente di attività all’interno della società, con onere della prova a carico dell’Inps, in quanto attore e con accertamento rimesso ai giudici di merito.
Nel caso deciso dalla Suprema Corte, il ricorso dell’Inps è stato rigettato, essendo stata condivisa la motivazione con cui la Corte di Appello aveva ritenuto non dimostrata in giudizio dall’Istituto la sussistenza dei requisiti determinati l’obbligo di iscrizione del socio amministratore anche alla gestione commercianti.
Cass. 20369 del 2019 (socio amministratore doppia iscrizione)
Leggi di più...L’utilizzo abusivo della carta carburante costituisce giusta causa di licenziamento
La Suprema Corte, con la sentenza n. 15777/2019, ha statuito che costituisce giusta causa di licenziamento l’utilizzo abusivo della carta carburante fornita dall’azienda.
In particolare, i Giudici di legittimità, all’esito di un complesso e lungo iter giudiziale che aveva visto già la cassazione della precedente sentenza della Corte di Appello Ancona, competente per territorio, rinviando la controversi alla Corte di Appello di L’Aquila.
La Corte di Appello del rinvio, in riforma dell’originaria sentenza del Tribunale di Ancona (che, al contrario, era stata confermata dalla Corte di appello dorica), giudicava legittimo il licenziamento per uso abusivo della carta carburante assegnata dall’azienda e tempestiva la relativa contestazione, avvenuta a distanza di due mesi dalla effettiva conoscenza del fatto.
La Corte di Cassazione, nel confermare la correttezza di entrare le suddette valutazioni precisa che:
- la mancata fissazione di limiti espliciti all’utilizzo della carta di rifornimento non esclude che tale utilizzo dovesse avvenire in stretta correlazione con l’effettuazione della prestazione lavorativa e che ciò dovesse condurre a ritenerne l’abuso accertato come espressione di una condotta intenzionale del dipendente, che ne aveva travalicato il limite implicito;
- la tempestività della contestazione deve essere valutata con riferimento alla conoscenza effettiva della condotta da parte del datore e non al momento in cui questa è stata compiuta dal lavoratore e che due mesi risultano un tempo ragione Ole e compatibile con la necessità di accertare le responsabilità e contestare l’illecito.
Ca.. 15777 del 2019 (abuso rifornimento e licenziamento per giusta causa)
Al termine del periodo transitorio, il MinLav emette la circolare sul Decreto Dignità
In allegato, la circolare del Ministero del Lavoro, contenente l’interpretazione delle nuove norme in materia di lavoro a termine dettate dal Decreto Dignità. La circolare, curiosamente, è stata emanata l’ultimo giorno di vigenza del periodo transitorio (31 ottobre 2018).
Circolare MIL Tempi determinati
Leggi di più...Licenziamento: in caso di concorso del motivo lecito con quello illecito è esclusa la natura discriminatoria/ritorsiva
La Suprema Corte, con la recentissima pronuncia, n. 14197/2018, ha ribadito il proprio consolidato orientamento secondo cui, in caso di concorso tra motivo lecito idoneo a giustificare il recesso e motivo illecito, deve essere esclusa la natura ritorsiva e/o discriminatoria del licenziamento, in quanto il motivo illecito può assumere rilevanza solo se esclusivo e determinante la volontà del datore di lavoro di adottare l’atto risolutivo del rapporto.
Nella fattispecie sottoposta al vaglio dei Giudici di legittimità, una lavoratrice veniva licenziata, per giusta causa, per grave insubordinazione perpetrata ai danni dell’amministratore unico e consistente nell’essersi rivolta, nei suoi confronti, con toni violenti ed epiteti fortemente ingiuriosi.
Nell’impugnare il recesso dinanzi al Tribunale di Milano, la lavoratrice ne deduceva la natura ritorsiva, in ragione della sua qualità di socia e dei rapporti conflittuali intercorsi con l’amministratore unico, fratello della stessa ricorrente nonché socio dell’impresa, con il quale erano sorti da tempo motivi di disaccordo sulla gestione sociale, sfociati in un lodo arbitrale che aveva annullato una delibera assembleare ed accertato talune irregolarità commesse dal fratello.
Il Tribunale, sia nella fase a cognizione sommaria, sia in quella successiva di opposizione, rigettava il ricorso della dipendente alla luce dell’istruttoria svolta che aveva confermato la veridicità degli addebiti contestati. In particolare, secondo i Giudici di merito, la condotta gravemente insubordinata della dipendente, era tale da integrare una giusta causa di recesso e, dunque, di per sé, sufficiente ad escludere che il prospettato motivo illecito avesse avuto rilievo unico e determinante rispetto al licenziamento.
La Cassazione ha confermato la correttezza della valutazione dei Giudici di merito, in quanto conforme al proprio consolidato orientamento (cfr. Cass. 28 marzo 2011, n. 7046 e Cass. 7 luglio 2009, n. 16155).
Leggi di più...Luci ed ombre della bozza del Decreto Dignità
Sono iniziate a circolare negli ultimi giorni le prime bozze del Decreto Dignità annunciato dal Ministro Di Maio. Dalla lettura delle stesse emergono alcune luci e molte ombre circa la idoneità delle proposte normative a raggiungere gli ambiziosi obiettivi dichiarati.
Certamente meritevoli risultano essere le iniziative volte a contrastare le delocalizzazioni produttive da parte di imprese che abbiano, negli anni precedenti, fruito di benefici ed agevolazioni statali, in quanto la fruizione di queste ultime è coerente che venga legata alla permanenza dell’impianto produttivo all’interno dello Stato “finanziatore”.
Molte ombre riguardano, invece, le paventate modifiche alla disciplina dei contratti di lavoro a tempo determinato e della somministrazione a tempo determinato, in quanto le misure prospettate, se attuate, invece di combattere il “precariato”, avranno come esclusivo effetto quello di accrescere l’instabilità lavorativa ed il precariato e di aumentare esponenzialmente il contenzioso.
Ed invero, l’esperienza del D.lgs. n. 368/01 insegna che la previsione di causali attraverso il riferimento a clausole aperte genera una proliferazione di contenziosi aventi esiti diametralmente opposti, così rimettendo alla sensibilità del singolo giudice la valutazione circa la idoneità o meno della causale eventualmente indicata a sostegno del rinnovo del contratto a tempo determinato.
La giurisprudenza formatasi con riferimento al D.lgs. n. 368/01 ha avuto esiti incerti, contrastanti e non unitari, così generando disparità di trattamento tra i lavoratori operanti nei diversi ambiti territoriali, a seconda dell’orientamento sviluppatosi in seno a ciascun Tribunale competente.
In sostanza, la previsione dell’obbligo di causale in caso di rinnovo del contratto a termine dopo i primi 12 mesi anziché prevenire il “precariato” determinerà semplicemente un maggior turnover di personale, accrescendo il numero dei precari del mondo del lavoro, in quanto il datore di lavoro, piuttosto che rimettere ad un Tribunale, con esiti incerti, la valutazione della legittimità o meno della causale posta a fondamento del rinnovo, preferirà, alla scadenza dei primi 12 mesi, sostituire il lavoratore con altro sempre a tempo determinato.
Con il sistema attuale, invece, il datore di lavoro che, ritenendo valido il lavoratore a tempo determinato, lo abbia occupato per tutti i 36 mesi, al termine del suddetto periodo, sicuramente procederà alla stabilizzazione del rapporto di lavoro, essendo irragionevole sostituirlo con altro dipendente a tempo determinato e sostenere, ex novo, i costi e i tempi di formazione.
Leggi di più...Legittimo il licenziamento collettivo di tutti i dipendenti addetti alla sede oggetto di chiusura
Con ordinanza del 1 giugno 2018, resa all’esito della fase sommaria del Rito Fornero, il Tribunale di Roma, conformandosi al proprio orientamento maggioritario, ha dichiarato legittima la procedura di licenziamento collettivo avviata da Almaviva Contract di tutti i dipendenti della sede di Roma, a seguito della chiusura totale della stessa.
In particolare, il Giudice romano ha ritenuto legittima la scelta aziendale di limitare il campo di applicazione del recesso ai dipendenti addetti alla sede soppressa, non estendendo l’applicazione dei criteri di scelta all’intero perimetro aziendale (le altre sedi italiane), in quanto congruamente motivata nella comunicazione di avvio della procedura di licenziamento.
In particolare, la società indicava, quale ragione della restrizione della scelta ai dipendenti addetti alla sede chiusa, la distanza dagli altri siti aziendali, che avrebbe comportato tempi di attuazione e modifiche organizzative complesse, con compromissione dello svolgimento regolare dei servizi, aggravando ulteriormente la situazione di squilibrio strutturale.
Il licenziamento collettivo in esame ha dato vita a un grande contenzioso che ha visto finora, nella prima fase del rito sommario, 39 giudici pronunciarsi a favore dell’azienda e 2 in senso contrario.
Leggi di più...Scarso rendimento e malattia “a macchia di leopardo”
La Suprema Corte, con la sentenza n. 10963/2018, ha ritenuto illegittimo il licenziamento irrogato da un’azienda di trasporti ad un proprio dipendente per scarso rendimento, integrato da continue, reiterate e brevi assenze per malattia.
In particolare, la Suprema Corte ha ricondotto la fattispecie in oggetto al licenziamento per giustificato motivo soggettivo, ritenendo, di conseguenza, necessaria, ai fini della legittimità del recesso, l’esistenza di un inadempimento di non scarsa importanza ai sensi degli artt. 3 L. 604/66 e 1453 e ss. c.c., imputabile al lavoratore.
Partendo da queste premesse, i Giudici di legittimità hanno escluso che le assenza continue fossero imputabili al lavoratore, stante l’esistenza di certificazione medica che ne attestava l’impossibilità a rendere la prestazione lavorativa, con conseguente possibilità di legittimo esercizio del potere di recesso solo al momento del superamento del periodo di comporto.
La sentenza affronta un tema, quello del licenziamento per assenze per malattia “a macchia di leopardo”, che, a seguito della nota pronuncia Cass. 04 settembre 2014, n° 18678, sta destando, negli ultimi anni, particolare interesse. Rispetto a tale fattispecie, la giurisprudenza ha fornito risposte altalenanti, talvolta qualificando il licenziamento come sorretto da giustificato motivo oggettivo, integrato dall’incompatibilità tra la prestazione esigibile dal lavoratore e l’organizzazione aziendale (come nel caso della sentenza del 2014) e talaltra, come nel caso in esame, riconducendo il recesso allo scarso rendimento. In questi casi, assume valore determinante la qualificazione della natura del licenziamento fornita dal datore di lavoro nella missiva di recesso.
Cass. 10963 del 2018 (scarso rendimento e malattia a macchia di leopardo)
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